mercoledì 25 dicembre 2013

duecentotrentuno

- 666 -
I'uomo s'intrufolò tra i Neocatecumenali, iniziando a chiamare tutti fratelli ( subito non gli veniva, ma dopo un po' gli passò ) e durante la settimana iniziò a ritrovarsi assieme a tutti questi uomini, che nello sbigottimento dell'uomo veramente si sentivano fratelli, in uno spazio della chiesa chiamata - canonica - a pregare iniziando facendo il segno di croce, leggendo brani della Bibbia ( una pratica disgustosa per l'uomo ) per poi commentarli attravero le risonanze; vivendo di tanto in tanto la consuetudine di fare qualche ritiro spirituale ( la cosa più insopportabile per l'uomo ) durante il fine settimana in un luogo appartato, solitario, dell'appennino o al lago o presso il mare. ( l'uomo viceversa amava la moltitudine, il caos, le orge ) Fu esattamente durante un fine settimana di ritiro spirituale in un albergo, affittato per l'occasione di una due giorni dedicata alle letture sacre, che sbottando durante un'assemblea tra tutta questa gente che si credeva di essere fratelli, l'uomo si alzò, andandosene per sempre: o per dirla, come la disse l'uomo  << ...eccheccazzo ...e va bè lavorare, e va bè la missione, va benissimo il male assoluto guai a rigettarlo, e va bene carpire le informazioni al nemico...ma a tutto c'è un limite...e mica posso convertirmi sul serio !...echeccazzo ...ma che razza di Demonio sarei... ?  >>          

domenica 22 dicembre 2013

duecentotrenta

...una delle differenze tra donne e uomini è che le donne: vivono, imparano, e normalmente sanno; viceversa gli uomini:  vivono, non sempre imparano, e tante volte pare, non sappiano; tanto che molti di costoro danno l'impressione di poter morire, senza saper di aver vissuto...

venerdì 20 dicembre 2013

duecentoventinove

 - a Joe -

... no, non c'ero; non amo l'ufficialità, non sopporto il dolore: lo avverso. E non amo manifestare in pubblico la mia presenza ad un lutto. In queste occasioni risulto essere di quella ieratica compostezza che detesto. Non amo la folla mortificata, che non sa darsi una spiegazione; e nel farlo piange e si commuove. Mi pare che il falso di ognuno di noi, trapeli in queste occasioni lindo e casto sotto forma di male, non indignando affatto. Ho avuto un moto di ripulsa alla notizia della tua morte. Non ne sapevo nulla; tantomeno delle tue vicende. Ci eravamo incrociati sotto il portico qualche tempo prima, e come al solito mi avevi sorriso, come quando si sorride ad un simpatico folle, aspettando la battuta rapida, o una gag, e invece no. Niente di tutto questo successe. Ci incrociammo. E sentii tutta l'eleganza della tua mano in quella stretta che ci demmo; da persona colta e timida, nelle dita fragili; di pelle lieve e nuova; e continuavi a sorridermi attendendoti quelle battute che non giungevano. Avrei dovuto sforzarmi, o forse raccontarti qualche storia che mi riguardava, e farci una risata insieme liberatoria, come a esorcizzare il tutto. Non lo feci. Perchè pensai che in quel momento eravamo distanti, e non so perchè lo pensai. Forse eravamo semplicemente distanti, come la vita aveva deciso; o forse era un momento per me di malumore; e ci saremmo rivisti di nuovo e tutto sarebbe andato per il verso giusto come spesso accade. Per chi vive. Senza pensare che per vedersi e parlarsi, vivi o morti, bisogna essere nella stessa condizione. Siamo stati amici, forse non lo eravamo più. Poco importa. Ti invio il mio pensiero. Il mio spirito vale più del mio corpo, e della mia presenza che quel giorno non avvenne...      

duecentoventotto

n
e
l
l'
 età             del
                                                                          m
o
r
i
r
e                                                                        
    si  
                           riduce                           
                                            tutto                                            
all'
e
s
s
e
n
z
i
a
l
 e.

mercoledì 18 dicembre 2013

duecentoventisette

 la morte per essere compresa esige un'intelligenza che il mondo ignora

duecentoventisei

nel 
regno 
dell'idiozia
 le esperienze 
altrui ci
scivolano 
lontano non
insegnandoci
alcunchè; giungendo a
 stabilire di converso:
 che siamo
 qualitativamente meno,
di ciò che con superbia
 ameremmo pensare di noi stessi

duecentoventicinque

la
verità porta
sempre l'esperienza di sè
  per distinguersi da ogni falsità

domenica 15 dicembre 2013

duecentoventiquattro

working class

e
i tacchi li alzo
all'alba, di buon ora
l'ora in cui Dio è plausibile
nel buio, che scompare 
parafrasando 
vita
morte e miracoli, e in cielo
la luna è l'ombelico nel bigio
dove la luce non è luce e il buio 
non è il buio, e ogni forma è ombra
nel silenzio che confonde per la sua bontà
ammaliando per poi scomparire
intendo alle 5, 30 del meridiano
Greenwich, parallelo più 
parallelo meno; l'ora in cui
puoi sentire l'anima lieve
che rifugge dal fragore 
più o meno qui: se tocchi
lo sterno e poi all'interno
ti si svela come un dono
salire docile alla glottide
sic et sempliciter e mai
lo diresti dentro i passi
lesti che l'anima sfiori
l'iride come le nubi si
sfiorano, e i germogli 
di pensieri stanno in 
equilibrio
finalmente
dentro un
ritmo
circadiano a dire: in sintonia, in asse con uno stelo, un petalo, un sepalo
and a thorn, upon
a summer morn
a flask of dew 
a bee or two
a breeze a
caper in the 
trees, and i am a rose.
E fendo l'aria che mi rifluisce dietro
innalzandosi a pennacchio d'Achille o Cipputi
in ogni caso: ci vogliono gli attributi; e cammino
scontrandomi col fresco, agili e rapidi siamo entrambi:
enjambement: doppio passo alla Garricha mentre penso
non sia più tempo di congetture: avvio il motore nel grigiore di un Bartleby a ore.  

duecentoventitre

 - Domenica: l'elemosina -

...dopo essermi svincolato dalle nebbie di periferia, mi ritrovavo sotto il portico del grano, a camminare tra cappotti e sciarpe, berrette di lana, negozi aperti, bar ancora semivuoti, e ad un certo punto sbuca un uomo con la bicicletta a mano indossando un cappotto liso, dei guanti di lana consumati; venedomi incontro mi allunga l'altra di mano: implorando con garbo <<...signore ha un euro da darmi per un caffè ? >> immediatamente mi fermo e raccogliendo dalla tasca delle monete, apro il palmo della mano davanti a lui, controllando quali monete gli posso dare. L'uomo che mi vede aprire la mano piena di monete luccicanti, le guarda come fossero d'oro e di nuovo mi ripete <<...signore mi da due euro che devo prendere un caffè ? >> e allora siccome son povero, ma non fesso, e le monete che ho sul palmo della mano non son d'oro, ma piuttosto di latta, gli faccio l'elemosina dandogli 1 euro e 20 centesimi, per star tranquilli: con 'stì prezzi che aumentano sempre non si sa mai, se il prezzo delle cose è rimasto tale e quale alla volta scorsa, o è un altro...       

duecentoventidue

come denti

           come 
          d
        e
   n
t
 i
         ai
                        confini o
         all'inizio di un volto                       
                     le 
                        s
               t
        e
l
l       
 e;              e il
                                        sole          
             glottide eloquente                            
                                                                         appesa al nulla.                                                                                                                          

duecentoventuno

33

e
i dubbi 
su di Me son nostalgie.
Vedimi, e doucement  abbassa
il rumore dei tuoi pensieri. Sono
ovunque, onniscente, o tra i pigmenti
di uno sfondo; eccomi : Here i am.
E ascolta: innanzi a tutto sono spirito
i want to take you higher, e di colore
son le linee del palmo, di ogni mano e
di ogni mano vedi di lontano l'indice
indicare il sole sulla croce: è testimonianza
Mia per amore, che con quel gesto M'invoca 
che dall'alto Io possa scendere su di ognuno;  per
voi tutti che ascoltate qui mentre  nel corso della
vita ci si dibatte; con le Mie parole, intimamente
di ciascuno, se in Me confidate:
esse si attueranno.
E non cercarmi
nella razionalità o nell'eloquenza; le parole
risulterebbero antiquate, superstiziose, o semplicemente fiacche;
ma incisive se d'istinto Mi appartieni: sei libero di non credere.

martedì 10 dicembre 2013

duecentoventi 220

Quando ci incontriamo, ci detestiamo in sotto traccia. Come se ci fosse tra noi una linea d'aria esatta a bassa tensione; pronta e spenta per via di non rinfacciarcelo chiaro a voce. Nei fatti che commettiamo in quel relazionarci; dove l'idea di fondo è che l'altro voglia defilarsi dal litigio triviale e sonorizzato, scegliendo una boutade lieve e scontrosa ( a innescare un'implosione interiore ) dal tono indelicato necessario per il proprio ego, con l'assunto ripiegato nel tono della voce a modo di:  <<...se non senti:... questa la senti...>> Verificando in silenzio nel contempo, l'efficacia dello sgarbo, attendendo religiosamente compunto/compunta la risposta <<... l'hai sentita ?...>>  Con noncuranza algida sul viso di soddisfazione se la boutade si è dimostrata efficacemente congrua. Così, nutriamo l'idea che l'altro sia perdente. Ed è sufficiente a soddisfare ognuno momentaneamente in superficie, anche se in profondità rimane un/una testa di cazzo. <<...e a voglia fargli delle boutade quello/quella avrebbe bisogno di un lavaggio del cervello!...>> E in quella boutade: Lo guardi/ La guardi. Cambiando espressione se Lei/ Lui vacilla, ma. Poi non crolla. Come ti augurasti nelle prerogative della boutade. Quando la escogitasti come ritorsione di chissà quale fatto successo tempo prima. Ora uno davanti all'altro, stiamo come due fessi. Duri. Con quel sorrisino serio; come quando viene il postino e lo manderesti a cagare a lui e le sue raccomandate; oppure sei tu il postino, e vedi una con un sorriso del cazzo che la manderesti a fare in culo. Ti apre la porta e ti parla.Vi parlate. Come due sconosciuti. Ci guardiamo. Controversi, nell'abitudine di esserci visti innumerevoli volte. Pensando, che ciò che avviene tra noi è così, poichè Lei/Lui è così e non diversamente. E Lui, cioè io sono così e non diversamente nell'attuare questa querelle. La quale è nata perchè, perchè, Più passa il tempo e più uno non se lo ricorda il perchè. Di cosa. E ti innervosisci. Prendendo a caso la ragione del litigio costante, perenne: che alla fin fine la colpa è sua di Lei. Che non capisce un cazzo ! O Lui che non capisce un cazzo! Questa è la ragione, e tu. Ti senti vago nell'attenzione, per parlare: e di che parliamo con quell'espressione del viso entrambi qui. Sulla soglia della porta, a guardarci con quel sorriso da stronzi!
        

domenica 8 dicembre 2013

duecentodiciannove 219

Ti ho vista; e ho visto il colore delle tue mani rosse, ragrinzite, e affaticate forse abbrustolite dal freddo, sicuramente stanche. E non ho potuto far altro che desiderare di stringerle, per infonder loro un po' di calore. Anche se ci detestiamo, a parole. E ti assicuro, che per un attimo ho pensato che siamo folli. A non volerci. E in quel pensarlo le ho desiderate. Da stringere nelle mie, e chiederti <<...cosa stiamo facendo ?...cosa abbiamo fatto ?...e se abbiamo fatto qualcosa...cosa abbiamo fatto di così inesorabile ? Ricordi ? Ci fu una volta che ognuno di noi disse all'altro che ci volevamo bene. E quando ci abbracciavamo odorandoci tra i vestiti ? che dopo un po' li sfilavamo; con gli odori liberi di sciogliersi nell'aria, come noi liberi di amarci ? Fusi nell'odore di abiti pregni d'umidità che ci assaliva sui corpi: quante volte è successo. E qualche volta dico a me stesso: che ti ho amato profondamente, e forse anche tu. Del resto non potevi fare altro. Che essere travolta, e felice di quel mio amore; che ti manifestavo arrossato e vulcanico di passione; tu e solo tu, per me, e io per te per sempre ad amarci come si amano le cose agli inizi del mondo; guardando Dio stupiti, di quella felicità che si raggiunge insieme: e guarda ora come siamo messi. Male: definitivamente male. Non ci amiamo più, tantomeno ci frequentiamo. Tranne in queste occasioni, dove nostro figlio ci chiama a rapporto come genitori. Io e te, perfettamente ignari di entrambi: siamo degli sconosciuti. Su questa pancaccia a sedere in questo corridoio. Con nostro figlio tra noi. Che guarda imbarazzato e felice, come fossimo concettualmente la sua unità; e alternativamente ci discorre; e mentre parla. Ti vedo. E ti guardo le mani. Affaticate, come il volto su cui non indugio ad osservare: ti voglio bene. Lo posso dire nel mio silenzio, pensando che avresti bisogno di me, per non soffrire di solitudine, si. Certamente anch'io sono solo, ma hai bisogno più tu di me, che io del tuo tristo vuoto. Che non voglio mai più. Ma che ho detto ? Perchè l'ho detto ? Perchè ti vorrei, eppure non ti vorrei ? E poi, chi l'ha detto che sei sola ?   

giovedì 5 dicembre 2013

duecentodiciotto

...quando sono in folle; e vedi gli altri vivere non sentendoti per nulla, e pensi che non ti dispiace nemmeno tanto, respirare la condizione di torpore da premorte che ne scaturisce tutto sommato naturale, e per nulla aliena, tanto da non chiederti il perchè, di questo stato catatonico, che ti fa scivolare nella mediocrità omogenea, con un sorriso di quelli che sibilano veri; e falsi nelle fossette laterali del volto, e dicono: che tutto va storto al mondo, ma a te non importa, in una sorta di menefreghismo giustificato ( nell'imo razionale fino a mezzogiorno ) e comparabile alla passione per qualcosa di serio, ma non importante, e che si dimentica immediatamente, inesorabile, certo, indolore, e tanto convincente che quando ti vedi allo specchio; lo specchio ti fa notare come tu sia un mediocre; ecco, quando ho questi momenti di aridità, dove l'olio che sia santo, vergine, o idraulico, non può oliare nessuno snodo intellettuale per via che si riattivi una connessione; ho il senso della spravvivenza celebrale che mi indirizza verso autori che mi possono salvare...

domenica 1 dicembre 2013

duecentodiciassette

Il gasolio era la nostra coda informe e grigia. Che si agitava nel trasformarsi aerea: dal motore al tubo dello scappamento fuoriuscire a nubi; e curvammo per entrare lesti sulla dormiente piazza; e dallo sterno, tre militi statici e ferrosi comparsero con un vessillo tra le mani; nell'indirizzarsi al fiume con quel gesto eterno dedicato alla grande guerra; mentre noi parcheggiammo la vettura, infilandola sulle costole della piazza, poco sopra il ventre. Scendendo. Osservati silenti dalle architetture maestose circondanti, che tralignavano deformi di screpolato oblio nel conservarsi in arcate e volte, condite al pomeridiano nulla; quando più su, osservammo il cielo nel sole; che pur vedendo, stentava dietro il sipario rannuvolato, per poi concedere magnanimo qualche unghia chilometrica di luce. Al quadro. E svettava il campanile nella propria guglia, di dermatite smeraldina; femmina aristocratica e indolente calzasse un guanto sino al gomito pungendo l'aria al vertice; così rinnovando l'inno a se stessa sovrastando la torre di nobiltà esigua del municipio dirimpetto; che nel cemento armato e bigio, viene sfigurato e gettato nel disprezzo; e stanno uno di fronte all'altro come fossero duellanti eterni; in quel misurarsi sullo spazio, nonostante le ombre del calare, ripiegheranno per entrambi accorciandosi. E l'ombelico, circolare spartitraffico che entrambi si disputano è privo di fontana da cui imbeverarsi quando è caldo: vi è l'erba inglese folta, e un secchio da muratore interrato al centro; ed è nella mente che immagino la fontana che non c'è; nell'avviarmi al termine della piazza, sulla scalinata lastricata in palladiana raggiungiamo l'argine; come ad incamminarci prima sulla fisarmonica della scalinata, poi sulla geometrica basetta dello sterrato tra la chioma di crescente erba che ci circonda; e avviati sulla via sterrata che ci porterà nella selva e al fiume, in questa prospettiva discendente il cartello alle nostre spalle, indica la via intrapresa recitando eloquente - via del peccato-.         

sabato 30 novembre 2013

duecentosedici

...che senso d'inutilità che mi pervade; svuotato e scarnificato nel profondo mi vedo al centro del mio essere; lì dove penzolano albe e tramonti e i giorni sono colonie di larve febbrili agitandosi indistinguibili l'una dall'altra, nella pietà dei miei occhi; la vita è un dono che non si raccoglie mai fino in fondo e il senso mi sfugge inesorabilmente appena lo interpello molto più di un tempo che avevo tempo: eroso. Iroso cavalco un passato remoto nel suo moto perpetuo così come lo percepisco; ma l'immanenza è totalizzante. Com'è difficile calibrarsi tra l'immortalità di un concetto  nella cancellazione delle parole che lo compongono; che senso di mortalità ogni mistero che non si svela, e che sgomento crea Dio dentro ognuno di noi davanti al trapasso riducendo lo scibile ad un silenzio muto e inarrestabile che comprime scagliandoci come schegge tra le braccia di chi non amiamo;  poichè a volte capita di credere più noi a Dio, che Lui a noi...  

duecentoquindici

Mia madre


lo fa 
sempre 
se il vento avverso le soffia contro
si aggiusta i capelli, si guarda i seni
parla al passato e il destino si acquieta
lo riduce a vocabolo da cruciverba, toglie
la pentola
scola la pasta
senza chiedere accompagna la vita
le domande non sono il suo forte , e
comunque alla vita si dà la mano sin
oltre la soglia e il bene non si paga; qualche
volta simula il ghigno della morte, ma gli occhi
non cadono nel tranello. Si consola in solitudine
facendo il bucato e stirando pensieri; qualcosa getta via
dice: sotto la neve il pane, sotto la pioggia fame; oppure
racconta di un giardino davanti casa: solo il gatto le crede.
 Così è la vita; si ripete parlando a sè, poi volgendosi verso
di me, mi accarezza.

lunedì 18 novembre 2013

duecentoquattordici

Mojito Con Foglie di Menta
 
 
 
Mescerei munifici murales
Optando ologrammi oltre
Jainisti jamming jazz, jab
In veste internazionale inusitata
Totemica tacciata, trattati
Outsider on the rocks, oppure
Cani cocktail che convergono
Oltremare oranghi
Nei negozi nuovi
Facendo filobus fantasma
Ostentando omogeneizzati o
Gioielli garruli
Livellando l'onta
Incrociando
Eco
Di
Irregolari
Minestre, minimali
Esteticamente evolute
Nuove, nonché notorie
Torride, tatuate tra tanti
Addetti, ad alamari affiancati.
 


duecentotredici

Coca Bacardi Lemon Ice
 
 
Cadenzavo cirri caste chiome
Ostentando ottimismo open, over
Calibrando confische con culottes
Agli arrembaggi assiali asserendo
Bilanciamo bambole bloccate
Animando algebrici alesaggi
Cavalcando coppe contromano
Animando anfore anaglifi a
Rotori roboanti, rettifili rose
Delineando due deliqui dardi d'un
Impresa immaginaria impressionista
Lì lambendo lingue lunghe
Elargendo encomi e
Mantenendo meriti
Osservando orientali
Nord, non negando
Ignavi, ipocrisie in
Conclamate colte
Efebiche elleniste.
 
 
 
 




domenica 17 novembre 2013

duecentododici

- Gioia -

In quel periodo di Gioia notavi il cranio massiccio. Poco incline all'ideologico essere e a cervellotiche intenzioni del vivere comune; aveva le sembianze da bovino giapponese elegante nell'apparire casual. Gioia era sorridente sempre, in quella sua struttura solida, e non lo conobbi mai personalmente, al di là del colpo d'occhio che a volte gli diedi dalle colonne del portico. E ciò che emergeva da vicino guardandolo era la possibilità che gli fosse esploso un petardo di cocaina in volto, lasciandogli il botto nel cervello oltre a quel sorriso, da paresi simmetrica ridente, garbata e sempiterna. Con l'incipit di singulti in risposta al proferire di qualsiasi parola, o frase rivoltagli, egli rispondendo, si avviava a mitraglietta con le parole, dal tono infantile defluendo il ridens dalla fessura della bocca. Con il fulcro di quel ridens che si riverberava sul ventre, un leggero tremore lo squassava nelle spalle. Ed era contagioso, vederlo così ilare, in quel fremere di vivezza, come fosse gravido di sette mesi e vivesse il nascituro in quel tondo e delizioso ventre, che manifestava pandan nell'accostarsi alle natiche che sfoggiava. Da mamy nera. Così armoniose, fasciate in quell'indossare la salopette di jeans scolorito, o quelle a righe blu forse. Ma son sicuro di avergli visto indossare quella color arancio, e lo vidi leggiadro camminarci estivo sotto il portico. Con le scarpe ginniche Superga, o All Star scendere i gradini del portico del grano, e avviarsi alla sua automobile BMW cabriolet dalla carrozzeria arancio parcheggiata di fronte al teatro, quando ancora si parcheggiava in centro. Di lontano lo osservavo immergersi nella sua vettura scoperta. Piscina brunita di pelle al sole, mentre mezzo seduto al posto di guida, con la portiera aperta, cercava di districarsi col ventre liberandolo dal volante, trovandogli la sistemazione, calibrandola  alle gambe che entravano più agevolmente del ventre ma anch'esse si  incagliavano sotto a quel volante; con la canicola che dall'alto furoreggiava lucida di riflessi sulla pelle umana del cranio calvo di Gioia, che nell'operazione - assetto ventre al posto guida - non riusciva a districarsi così fluido. E non fu fluida nemmeno la sua dipartita che narrava. Di una mattina all'alba sulla via provinciale; scontrandosi con un platano, dopo una sterzata improvvida e fatale causata da un colpo di sonno a quella velocità, di Gioia i pezzi squartati, un braccio, una gamba, la testa, il pollice il busto, l'altra gamba, un orecchio, i denti, la mascella, un pezzo di carne, un altro che sembrava un polpaccio, vennero raccolti un po' qui e un po' là col cucchiaino. Tra il fosso e la campagna. E comunque qualcuno asserì che i conti non tornavano. E sempre mi son chiesto quali pezzi di Gioia non l'abbiano seguito nella tomba, quando in quel mormorare s'insinuò che non trovando altro per completare la salma, nella cassa qualcuno vi aggiunse pezzi di selleria e motore. Tanto chi se ne accorge ?            

sabato 16 novembre 2013

duecentoundici

 
 - L'uomo - 

L'uomo osservava il mondo dal suo giardino. Costernato, sbigottito, affranto di quella calma che si prova di fronte all'inevitabilità. Davanti a quel mondo, non più mondo, che vedeva ardere sotto la spinta delle lingue di fuoco da una parte e dalle gigantesche onde dall'altra. Egli per volontà di Dio era l'unico superstite della razza umana. Come Lot nella Bibbia prima della distruzione di Sodoma e Gomorra, fu avvisato da due angeli alla porta di casa. L'uomo la abbandonò. E ora era lì. In quel luogo chissà dove; al riparo di fronte a quella distruzione, e guardando diceva tra sé  <<...l'apocalisse di Giovanni...>>.  Da lontano vedeva in cielo le schiere angeliche bianche del Signore volare di qui e di là nel porre fine all'esistenza sulla terra. L'uomo fu avvicinato e abbracciato dalla donna, che Dio gli aveva concesso. L'uomo vedeva la terra tra il crepitio delle fiamme, e l'increspatura delle acque che seppellivano ogni vita. La donna affettuosamente lo abbracciò. Dopo quell'effusione; dalla donna si vide porgere una mela. L'uomo stava per addentarla nell'euforia del gesto amorevole, e aprì la bocca. Ma nell'aprirla vide con la coda dell'occhio il serpente dietro l'albero, in mezzo al giardino che. Si nascondeva con un'acrobazia tra i cespugli, continuando ad osservare la scena di loro che tra un'affettuosità e l'altra si sarebbero mangiati il frutto. L'uomo si ricordò di aver  letto la Bibbia e conosceva la storia della mela, della donna, e del serpente, e ora verificava di persona che razza di fine stesse facendo l'umanità;  e per non essere sgarbato disse alla donna <<...sei gentile amore... e la mangerei volentieri...però sai ...che la frutta m'indispone...mi fa andare di corpo...e dai... per stavolta mangiatela tu la mela !?.. >>.         

venerdì 15 novembre 2013

duecentodieci


 
 l'ispettore Gonzalo Caprarella
 
 - un caso personale -
 
 L'ispettore Caprarella si lava il volto, i denti, si asciuga, guardandosi allo specchio, spegne la luce; chiude la porta del bagno. Accompagnandola dietro di sé, piano. Si dirige verso la camera da letto, varca la porta, si ferma. Cerca l'interruttore, ma si rivede nel gesto e ritrae la mano. Per non disturbare la moglie che dorme. Le vede la testa scapigliata. Caprarella in silenzio e al buio, scivola sotto le lenzuola e. Rivolto al soffitto lo guarda ad occhi aperti assaporando il tepore del piumone e volgendo il capo, vede la moglie. E decide. Di allungare la mano appoggiandola tra le cosce, la quale moglie sentendo la mano sul proprio sesso non reagisce, e immobile apre gli occhi e chiede <<...son passati già tre mesi dall'ultima volta ?...>>  
 
 
 
 

duecentonove

- Cargo Deluxe al bar d'estate -

<<...Le prossime notti rinfrescherà...>> si dice Cargo Deluxe ordina un drink. Di nebbia solare, luna in vimini un pizzico d'ombrello Scotland infilato nel limone a bordo vetro. Il bicchiere umido Cargo D. lo tiene in mano gocciola la bibita è fresca e irrisoria dal sorseggio rapido e liberatorio; china il capo lieve lo pregusta vivezza nel corpo. Cargo D. sfodera la tenuta balneare da cinghialino in evidenza tatuaggio sul bicipite furente, sorseggia per poi rimirarsi attorno, con il drink alcolico che fa cool CargoD. sfodera l'espressione tranquilla intende il mondo circostante  parlottando tra sé, dice...<<...e che cazzo c'è ?...>>  rispondendosi  <<...e c'è che di queste sere torride, si che ci vuole un drink: e un accoppiamento con femmina sconosciuta  dalle pari pulsioni selvatiche...>> E nel parlarsi si accarezza i sensi a quel pensiero d'accoppiamento, si sente la minchia spingere nei jeans, s'arrabatta a muso duro si ritorce, si inchioda col glande a capofitto in direzione della fessa chiusa. E si aggiusta le pudenda Cargo D. le mescola con nonchalace. Seduto sulla sedia, in angolo dove solitamente al moschettone al muro si lega il cane prima di entrare in bar. Cargo D. si gode la postura classica pop, di chi accavalla le gambe pensa ai fatti propri osserva il trambusto. Ascolta con lo sguardo l'interlocutore prossimo nel suo profilo nasale dentale come un faro notturno azionato a scatti facciali e dentali, dialogare con la ragazza che gli sta di fronte. Allontanandosi con lo sguardo Cargo D. osserva le volte del portico, rimira le architetture silenti ristrutturate di recente, tinteggiate a rullo <<... con un rutto allo zabaione...>> si dice Cargo D. <<...e che gareggia con i volti degli avventori...>> Il più delle volte perdenti sotto il profilo della saldatura morale secondo Cargo D. che con gli occhi, vede i volti ne segue le molecole di grasso lipidico, ammorbare l'aria intrise di sofferenze multiple di natura varia, aggrappate: piccole cisti nelle espressioni al volto, liriche, lucide, luride, stordite, risentite dal vociare complessivo, in un sentire fuso nella confusa miriade di parole dette in saldo sottoprezzo, leggere volute di fumo incartate al nulla. Chi deborda in una momentanea eccezione, simula l'antipasto monumentale della goliardia mima un bacio al culo di una sedia, la solleva con un braccio, performance di forza idiozia Cargo D. osserva tra sé non dice ma la barra a è bassa e Cargo D. sa quando si alzerà, un'orda di maratoneti della bibita, claudicanti, azionati con i fili del burattinaio alcolico, varcherà il passaggio a livello metaforico sbrodolando simpatia amore per tutto il mondo che li circonda. Proponendosi come risolutori di problemi che già da tempo andavano risolti <<...ed è ora di dire a basta...porto gane di quella vvacca non se ne po' più...ò ragione ho no ?...>> oppure minacciando gli astanti sobri e non, di eterna amicizia con toccamenti di spalle e palle, con baci da lumaca piantati sul collo, scrollandosi lo scroto, e tenendosi il drink in mano fautore di tante verità, per finire staccandosi dalla prese amicali, dando seriamente uno sguardo alla vita vissuta nel suo insieme proferendo verità assolute <<...alla nostra età la pancia ci vuole...>> qualcuno che gracchia <<...parla per te ...>> rispondendo da laggiù e qualcun altro che di rimando col rinsavimento di chi ha facoltà di parlare poi mai più, invia <<...si...ma ci si può limitare... >> e c'è chi tempestivo nella discussione si sbraccia, alza la t-shirt nel mostrare l'occhio dell'ombelico con la palpebra gonfia di rigatoni e penne al sugo, convertito a suo dire al macrobiotico grrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrr rutta chiede scusa, t-shirt alzata gesto liberatorio nella smania di evidenziare risultati macrobiotico eccellente, auto conferendosi grrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrr rutta chiede scusa, il salvacondotto per ettolitri di birra al venerdì, cagate in libertà dette senza perdita di dignità. Solo un singulto alla fine dello show lo vibra, ingoia qualcosa d'indigesto, abbassa la t-shirt chi ascolta il performer, lo ignora; guarda in altre direzioni sorseggia il drink. E Cargo D. nota ad un certo punto, la costante trasformazione di volti in maschere. Dove lo spirito, via via indietreggia a mani alzate, come di fronte ad un revolver dai proiettili di luppolo, rum, wiskey lascia spazio alle fiacche schiere di spiriti d'artificio, in quel travestimento ovvio, danno un senso di libertà dopata al gran raduno di cariatidi dalle svariate chiavi di lettura che richiamano l'arte inducono ad apprezzare i quadri di Francis Bacon dai volti sciolti; oppure paiono semplicemente avventori di un bar nel tenere, un cero di birra o drink in mano come durante una funzione di paese dietro il baldacchino della loro idiozia registrati dalla natura: con quei messi bicolori che si librano nell'aria col nome di rondini. Che tracciano virate a scimitarra sotto le volte del portico, scivolano arditamente in un guizzo nei loro nidi a igloo; fatti di sterpi là, ad osservare lo spettacolo grottesco usuale di teste calve, rasate, col ciuffo, acconciature lisce, permanentate, a parruccone di una gioventù consunta all'alba della vecchiezza. <<...e che cazzo me ne frega...>> pensa Cargo D. si alza e poggia il bicchiere vuoto sul tavolino, e. Mettendosi a seguire una tipa che uscendo dal bar sgallona il culo come una zoccola si guarda attorno per vedere, se qualcuno la vede che sta passando con la figa in saldo. E Cargo D. si che la vede, si alza con la minchia che spinge sulla fessa, la segue pensa tra sé <<...se sbaglia questa...sbaglia tutta la melonaia !!...>>.                            

duecentootto 208

A volte pare che io sia la sua ossessione per il fatto semplice di esistere. E in quel mio esistere di sovrintendere lei. Che non rende conto a nessuno di ciò che fa. Così abituata su ogni ragione rivolta a sé ad escludere gli altri. Che commettono errori, e di fronte a questi errori, la pietà dalle sue labbra è la rarità, quando l'ascolti. Nel pieno flusso delle sue ragioni esposte. Come nell'esporle essa compia la purificazione di se stessa nel pronunciare le parole ardentemente. Dalle labbra fuoriescono le vicende, e nel costruirle essa è martire ed eroina di ogni fatto, narrato. Emerge pura esanime e immacolata in quella giornata che la vede interagire con gli altri. E certamente ha ragione. Dal suo punto di vista. che segue le traiettorie di ciò che ha detto con l'abilità di modificare la realtà prodiga di manomissioni multiple su fatti minori apparentemente di poco conto. Da rendere ogni racconto esattamente, come chi lo esprime, vuole che sia. Abitato. Da una martire o eroina in una storia dalle venature epiche quotidiane. E mentre Lei si sfoga con la ragione che le deborda da ogni angolo della bocca e dove assieme al ringhiare di sottofondo vi è la femmina che vai ascoltando che. Alla fine è vincitrice di tutto e su tutti in quel cavalcare e brandire la spada insanguinata di fronte alle ingiustizie del mondo, bè. Io nell'ascoltare. Osservo e taccio. Non ribadisco. Assisto con nonchalance interesse e garbo e penso: <<...boh...le passerà...speriamo non duri troppo...! >>.  

duecentosette

Boy
 
 
come
 ti dona la giacchetta
autunno inverno color ossimoro
posato, sposato; stasera un cenno e
lei si dona vedendoti; con un bacio
besame mucho al termine delle ciglia
voulez vous coucher avec moi per quattro
danari d'amore o quattro danari e basta
la
 
c
a
l
l
i
p
i
g
i
a
 
ha imparato l'arte
 e l'ha messa da parte e tu;
la pigi: scura come il lambrusco in quindici minuti di squallore rock'roll never
non so se mi regge la pompa nella spirale  psichedelica dove l'eco delle trombe di 
falloppio; pandan ti esce da quelle di eustachio;  nella brezza che non salverà 
il mondo, ma la serata di  sicuro; bene hai speso i tuoi soldi ragazzo e anche gli
spiccioli che ti sta trafugando dal cruscotto ragazzo e tutto quello che c'è dentro
 ragazzo................................................................svegli...aaaaaa!!!!!!   

giovedì 14 novembre 2013

duecentosei 206

Normalmente ci si innamora. Ci si sposa. Nascono i bambini. Ci si separa. La donna chiede l'assegno di mantenimento. Oppure. Ci si separa dopo anni. E dopo aver saputo che si aveva una moglie. E Lei dopo aver saputo che aveva un marito. La donna chiede l'assegno di mantenimento. Oppure. Nascono i bambini. I quali non sono del marito. Come la moglie sospettava. Nascono figli illegittimi. Ci si separa. Dopo che uno dei figli durante un litigio ha detto del cornuto e bastardo al padre. E va a vivere col nuovo padre assieme alla madre. La donna chiede l'assegno di mantenimento: al padre, ex cornuto e bastardo. Il quale se vuole può scegliere se essere solo un ex cornuto, o anche bastardo in pectore nel darle l'assegno di mantenimento. In ogni caso. Come si vede le situazioni possono essere variegate ma l'elemento che non cambia è. Che la donna se può, chiede l'assegno di mantenimento. All'uomo. Che per legge stabilita dallo stato nel divorzio con prole, stanzia una sorta di: walfare per la donna. E non è una brutta idea vista dalla parte della donna. E non è una brutta idea vista dalla parte dello stato. Che così tutela i più deboli, i quali per la stragrande maggioranza dei casi, diventano i più forti. A discapito dell'uomo che invece, più passa il tempo e più diventa debole, scivolando nella povertà. Vedendosi miserabile e con buone probabilità d'incappare nella regola francescana, contro la propria volontà, e contro quella di Dio ( che non gli ha inviato la vocazione ) . Il quale divenuto povero non risulta essere più risorsa per quel walfare; così reclamato dalla donna e stabilito per legge, attraverso gli avvocati, e attraverso il senso civico sviluppatissimo della normativa che tutela i più deboli ad essere mantenuti con giustezza dalla parte forte della famiglia ( l'uomo ) che non è in famiglia, e non ha, più famiglia. Il quale uomo, scivolando sempre di più nella povertà, ad un certo punto, non risulta essere più risorsa con quel walfare, per quella famiglia che si vorrebbe nella giustezza tutelare. E nasce il problema. Che se diventa povero chi deve dare il danaro, poi non c'è più danaro per nessuno. Si secca la fonte. E si è in difficoltà. E non è nelle difficoltà solo l'uomo che non riesce ad onorare quell'impegno, è nelle difficoltà chi non riceve più quel walfare; è in difficoltà la credibilità della legge dello stato, è nelle difficoltà chi deve far funzionare quel sistema, poiché ha di fronte a sé, problemi diversi rispetto a quelli che doveva risolvere. Ci rimettono tutti. Ed è una brutta idea, vista dalla parte dell'uomo. Che non immaginando le relazioni esposte sopra in merito all'assegno di mantenimento, ma. Solo ed esclusivamente per egoismo viscerale, rinunciando ad accontentare la donna che richiede quell'assegno, e rinunciando ad ascoltare il presunto buonsenso nella legge, che norma le separazioni e il mantenimento da parte dello stato. E solo per egoismo riesce ad affrontare con tenacia quella povertà che si affaccia di fronte a sé, e che potrebbe propagarsi come la peste: che lo stato dovrebbe impegnarsi economicamente a riconoscergli un merito per quel rifiutarsi d'onorare quel walfare. Inviandogli non un'ammonizione morale, bensì un assegno di ringraziamento. Altroché.              

duecentocinque

 
- Tre angeli -
 
 Tre angeli del Signore vengono catapultati dal cielo a terra. Il primo atterra in una metropoli, il secondo su un'isola deserta meta turistica dell'occidente, il terzo in una buca di merda. Costui tutto immerdato da capo a piedi pensa ovviamente che quell'essere immerdato sia un segno distintivo del vivere in terra, e chiamando il primo angelo gli fa << ...lo sapevo che la vita è una merda...>> il primo angelo rispondendo a quella telefonata gli dice <<... sono dispiaciuto...qui non è una merda, però c'è molto da fare per ripristinare una sorta di ordine che già esiste nella natura, a cui l'uomo deve conformarsi per migliorarsi e di conseguenza raggiungere l'ordine del divino esistere...>> il secondo angelo che non aveva ricevuto nessuna telefonata pensando tra sé all'esistenza che Dio gli aveva concesso pensava <<...la vita è stupenda...si scopa, si mangia, si frega il prossimo, e ci si arricchisce...! ( ? ) ma allo stesso tempo rimuginando tra sé si chiedeva ... perché Dio mi ha messo in questa condizione dove la tentazione mi supera e mi danna ?...cosa devo dimostrare? ...a chi ?...cosa devo suscitare negli altri ? solo odio e risentimento oppure una forza contraria atta a scardinare questo comune senso dell'esistere ? ...>> Dio onnisciente e onnipotente a queste domande, che i tre angeli si erano posti una volta giunti sulla terra, rispose inviando in sogno per ciascuno: un fuoco che ardeva nella loro mente e nel loro cuore; e che l'avessero usato per risolvere ogni problema che gli si fosse posto di fronte, e che tutti gli uomini e le donne al contempo, lo avessero riconosciuto come. Amore    

mercoledì 13 novembre 2013

duecentoquattro

Senescenza
 
 
questa rabbia tua senile, ostile
che rima con animali da cortile
la tralascio, per non rubare spazio
al concetto che esprimo di getto per
poi pentirmi, maledirmi e contraddirmi
nei sentimenti a cui affido i miei nobili intenti:
questa senilità dicevo
da ragazzino
quale
sei
di una certa età
che l'esperienza
non ha reso 
maestà e
rinnega
la
maturità
per vanità, e non s'avvede
dell'etica patetica di una giovinezza avvizzita e la
saggezza malnutrita che dispensa livore; la permuta
con amore sarebbe più proficua; mi fa pensare onestamente non sia
cosa da brava gente, anche se non è grave s'intende: esser moralmente non abbiente.
 
 


duecentotre

Sentimenti
 
 
la
 temporaneità
 dei sentimenti, che
non sottostanno alla quadratura del cerchio;
se fossero perenni mi vivrei inchiavardato in
condizioni di sensibilità precaria. Nel mondo che
mi muove muovendosi e da cui
son sedotto; lo seduco
il più delle volte a mia 
immagine
mai somigliante;
 con le micro ideologie 
trasversali succedute alle 
ideologie che mi rappresentano in
schizofrenica intermittenza; così catturato
agonizzo di vuoti a perdere in suoni che non registro
mai per brillantezza mondana e bon ton: facendo attenzione
a non uscire dal coro per solitudine; e a non rovesciare il cocktail
sui mediocri per non dispiacere ad alcuno. Tranne al sottoscritto.    

duecentodue

Requiem aeternam
 
si
 disse che
 il pomeriggio
 sguainasse il sole con possanza
 inopportuna, ma confortante per chi restava.
Si
 osservò:
 come il sole
 si erigesse sulla
 compostezza dei suoi cari
illuminando gli angoli più
 reconditi dell'autunno e
  di chi seguiva il feretro.
Assolando tutto
nella brevità di
 un'enclave estiva
 e
poi.
 La sera per tutti.

duecentouno

G.
portrait
 
fuggo
inaspettatamente fuggo
con la mia eroina stretta
forte in petto.
 
I
n
s
i
e
m
e
 
 nella tersità 
di quell'ombra
buia: una brace accesa 
tra le dita, mi indica la via
per tutta la lunghezza delle tenebre. 

duecento

S.
portrait
 
senz'amore è l'inferno
e
io
non
basto
a me stesso
vi
 
o
d
i
       o       
            : poiché
siete              
    la
 mia        
       più
 profonda              
                           contraddizione.

centonovantanove

R.
portrait
 
talmente
viziato
che
non capiva come ai rimproveri per i ritardi
non seguissero poi
le congratulazioni
per la
p
u
n
t
u
a
li
t
 à.

martedì 12 novembre 2013

centonovantotto

Quasi l'alba
 
luna
e
s
i
g
u
a
ciglia                       lucente
sul
pastrano
settembrino;
unghia
di
sole
abbarbicata
al buio.
Meno
di
un
ora
e
 
a
n
c
o
r
a
il tuo artiglio ci graffierà il volto, umettando il giorno.


centonovantasette

The cannibal
 
 
ride il
clitoride
ride.
Alle tue battute:
m
o
r
d
a
c
i
ne uccide la 
lingua e poi la spada:
 e l'humor sale. Love me
tender, love me do it through.
Il pasto                  è                    nudo.

centonovantasei

 Coitus
 
 
deflagra il
seme
che
dall'imo
si raccoglie
in filamento
e recalcitra
ostruito
di nuovo
a gettarsi
sull'omphalos, nodo di
ventre eburneo appena
sopra il solco dove è
terra palpitante così
percossa
dal vomere che annuisce
inconsulto di muschi aciduli
e aspersi in spirali
e turbinii
fin oltre
le narici
dove i
venti
gemono
negli occhi
serrati negli occhi
ansimanti e intrisi
d'echi dell'origine.

centonovantacinque

Toilette
 
 ti sto
guardando
vedendo, sorvegliando, rimirando
e vedo che ti stai impegnando e
impegnati
si !
fino in fondo e alla
fine prima di usare
lo spazzettone:
tira l'acqua. 

centonavantaquattro

Toilette
 
 
 chi
usa il
bagno
 in modo
impegnativo
è
pregato
quando
ha finito
( non prima è inutile dirlo ma lo dico ) 
di usare lo spazzettone
si
si
quello li: bravo
anche sulla mattonella frontale e dintorni.  

domenica 10 novembre 2013

centonovantatrè

Requiem per una supposta
 
 
...brutta fine
i
n
 
 u
n
a
 
m
i
s
s
i
o
n
e
 
oscura.
 
Lascia attoniti...

twitter. 3 /3 / 2021

centonovantadue

Le poesie brevi
 
le poesie brevi
al centro
della
p
a
g
i
n
a
              bianca
mi danno
un senso
di
s
o
l
i
t
u
d
i
n
e
specie se no le capisco.
La stessa solitudine si trasforma
in Dio, se penso alla terra nell'universo.

centonovantuno

Mio padre
 
 
dopo aver
rincorso al 
buio il
tempo
a ritroso
 è arrivato all'appuntamento giovane
dentro un tiepido disegno in collisione
con l'aria
sul respiro notturno
spezzando
la
brina a teoremi mondani;
 con gli occhi dell'infanzia
nell'alveo l'ho guardato
dove né vita né morte
 trovano asilo e
l'
i
m
p
r
e
s
s
i
o
n
e
 che nulla mancasse: diafana e netta. Il
 respiro nel cuore battevano entrambi:
io e mio padre mai così forte, dove 
ci si ricongiunge senza pena alcuna.

centonovanta

Autunno
 
 
l'occhio del 
giorno si distese ruggine
sulla tiepida pelle di ogni cosa.
T
r
a
 
le
dita secche
dell'autunno il
 vento mugolava a scrosci
banchettando
alla
tavola delle stagioni           l'estate ancora calda. 

centottantanove

nessun uomo avrebbe la capacità d'inventare Dio. Né
onnisciente né onnipotente poiché: come quella 
potenza attribuitagli, fosse divina, la 
stessa potenza, l'uomo la
rivolgerebbe 
a sé.
P
e
r
 sé.

sabato 9 novembre 2013

centottantotto

Spirito
 
 
 
Si
nasce
p
         o
               e
           t
i
 si muore uomini:
 nell'infanzia dello spirito 
s
p          
o                  
s                          
s                 
a        
t
            o.

centottantasette

Nell'interstizio di un paradosso
 
 
Nell'opera
di
Dio
l'uomo
 giace
 eretto
nell'osservar se stesso genio
c
o
n
 
g
l
i
 
 occhi
di
carne
afferrare
l'universo creato. 
Abbandonato
un giorno
sarà lieve
 la morte:
dove 
non
 giace
lo spirito. 

centottantasei

Idee
 
 
Ciò
che ci
 convince
ci
lega
nel
p
r
o
f
o
n
d
o
 
rendendoci liberi.

centottantacinque

Miti
 
 
Ci
sono
 miti e
uomini
mito.
Uomini che
hanno un mito
e miti senza uomini.

centottantaquattro

Bambini
 
 
a
volte
 con uno 
sberleffo giocoso i 
bambini pare vogliano
simulare la
 dannazione
irridendola:
suscitando
nell'adulto
la felicità.
 


centottantatré


a Jacques Tati


Le
vostre
anemie
calibrate
alla distanza esatta. Come
la morte celebra se stessa, così ad
un pic nic tra i loculi, non mi auto
inviterei; e nemmeno replicherei
agli epitaffi sui marmi. Tuttalpiù
reciterei una preghiera 
a suffragio, un
adagio
 del
venerdì come
 il gran Muftì: al mio
Dio invocherei Jacques Tati
 <<...dà loro battuta di spirito tu che
 di spiriti t'intendi...>> e
  veramente voi vi
    sareste salvati. 


venerdì 8 novembre 2013

centottantadue

Ero in tredicesima fila seduto. All'aperto, dietro ad uno schienale dove vi era disegnato un pene, una kappa, un utero. Sul far della sera ancora ignota, vidi le ragazze svoltare l'angolo; prive di pesantezze di sorta, da esse solo il candore trapelava con cui si annaspa nello sguardo illimitato di amori aspirati: nel giovane è lo spirito; pensai. Ero in tredicesima fila. Solingo sul mio scranno color geranio, e senza tappeti di egual tinta sotto i piedi, alla corte di una piazza ossuta e non colma di rifrazioni; se la sera luminosa non spegnendosi ancora cogitava nella sua maturità; e magnifica mi relegava nella parte in ombra in quella tredicesima fila solingo e libero d'affanni di fronte al palcoscenico: senza sconcerto masticavo l'anima gradevole, glabra e priva di peli ingoiati con la lingua mansueta; porsi l'occhio da dietro gli occhiali, volgendo lo sguardo turistico all'insù. Alle impalcature scheletriche, che si ergevano seguendo l'argentina metallica pelle della torre campanaria nel suo getto al cielo; secolare ed intrepido imitando così agghindata, la torre assai più famosa di Babele. Quando nella sua interezza ne colsi l'abbaglio fulmineo, di ogni pedana e lamina rinascente in mille splendori, riflettere le ciglia delle stelle in quell'infrangersi; vedendo tutto ciò stando in tredicesima fila, laggiù solingo a sedere con la testa rivolta al cielo. Osservavo il cappello in metallo coprir la vetta della torre campanaria. E le ragazze minuscole camminare sulla piazza e superarmi: punto seduto a gambe accavallate. Non le scorgevo più, guardandole da lassù.        

giovedì 7 novembre 2013

centottantuno

l'ispettore Gonzalo Caprarella

- le quattro frecce -
 
In la tangenziale la vettura frena di scatto ....boing...! che viene tamponata... gniiiiik...sdleng...colpita nella targa che si disloca pendendo in parte. Dal finestrino della vettura tamponata sbuca la testa del guidatore: che rivolta all'indietro a quella della polizia, che l'ha tamponato fa <<...embè...!..>> Ides a fianco dell'ispettore Caprarella, anch'egli sporge la testa dal finestrino, ribatte <<...embè cosa ?..freni in mezzo alla carreggiata senza mettere le quattro frecce !?...>>...<<...ma che quattro frecce e quattro frecce...>> gli risponde il tipo <<...mi attraversa la strada un cavallo giallo al galoppo...e dove trovo il tempo di mettere le quattro frecce ??...>>...<<...haheee...addirittura un cavallo giallo al galoppo...ma che cavallo giallo e giallo... mica l'ho visto io...!?...>>...<<...haaaa...non l'hai visto...e perché...a me che mi hai inculato ...mi hai visto ?...>>>    

centottanta

   l'ispettore Gonzalo Caprarella 

- L'identità dell'uomo sconosciuto -  
 
 Era già qualche minuto che. L'ispettore Caprarella osservava stando in piedi. A fianco della propria vettura appoggiato alla portiera aperta. Tra le decine di vetture parcheggiate in quello spiazzo lungo il viale. Di lontano. Osservava il muoversi della figura. Presumibilmente un uomo. Che nell'anonimato del traffico cittadino, si spostava. Tranquillo. Rovistando nella borsa. L'ispettore a quel rovistare stava per intuire che era il momento di agire. Avviandosi. Di buona lena; raggiunse. Il marciapiede: fermandosi. Presso l'uomo, che nella borsa trovò ciò che andava cercando. Alzò la testa, e lo sguardo dei due si incrociò. L'ispettore Gonzalo Caprarella prese in pugno la situazione e disse <<...se sta per suonare il campanello...non c'è nessuno in casa...dia pure a me!...>> Il postino allungò il braccio consegnando la posta all'ispettore il quale riprendendo disse <<...è nuovo lei ? >>...<<...si!...>>...<<...lo immaginavo...quell'altro la posta me la recapitava in commissariato!...>>. E nel ritirare la posta l'ispettore si accomiatò <<...grazie !...>>...<<...prego... non c'è di ché ...!...>>.  

mercoledì 6 novembre 2013

centosettantanove


the punk will never die
Quando David Bowie cantava Starman, Rebel Rebel, Change;  Lou Reed  Sweet Jane; Mick Jagger pagava le spese processuali dei Sex Pistols sempre nei guai; la madre di Sid Vicious comprava l'eroina per il figlio; i Clash cantavano London Calling i Suicide di Alan Vega e Martin Rev comunisti sino all'osso cantavano Ghost Riders e Frankie Teardrop bè in quel peridodo lì dove il mix, di Love will tears us upart dei Joy Division era la canzone più struggente e meravigliosa: Ian Curtis autore e cantante di quel brano, si suicidò. A quella notizia Trasco Mogo Roio detto Scroto si chiuse il giubbotto borchiato con la zip, e guardando Lodo Rixius con scoramento (...da cane bastonato avrebbe detto un esterno che passava di lì...) con compunzione come in quella compunzione celasse la commozione per quella notizia: intensamente e sommessamente gli si rivolse <<...hai saputo ?...hai saputo di Ian Curtis ?...che si è suicidato ?... >> Lodo Rixius annuì e Scroto riprese  <<...sai ho riflettuto... !...mi suicido anch'io !!...>> Lodo Rixius annuì prendendo tempo per rispondere; che era buona cosa riflettere, sdrammatizzare, sminuire e intervenire chirurgicamente a quello che aveva detto Scroto: che se uno dice niente e sottovaluta la cosa, tz, va a finire che costui si ammazza per davvero: e allora guardando Scroto che stava sotto la propria cresta bionda e il giubbotto nero con le borchie immaginando la propria morte,  per impiccagione, per barbiturici, lancio dal ponte sotto il treno, lancio dal ponte con annegamento in acqua, gettandosi dal balcone di casa, con un ago nel braccio per overdose; Scroto immerso in quei pensieri  udì Lodo Rixius intervenire laconico e lapidario <<...Scroto...se ti suicidi...non frega un cazzo a nessuno!... >> Scroto a quelle parole sentì nel cuore tutte le sue idee suicide volare e crollare a terra. Gli anni passarono. Passarono i lustri. Passarono i decenni. Scroto divenne manager di un'azienda. E capo di molte persone. Ricco elegante con una vettura potente e tutto di un pezzo ( ...di merda, avrebbe detto un esterno che passava di lì... ) quasi arrogante con quel relazionarsi nazista tra colleghi, e disprezzando il buon senso, se più di una volta fu visto da persone fidate, alzare il saluto nazista. <<...Heil...!...>> Lodo Rixius dopo molti decenni lo rincontrò e notò immediatamente che Scroto non si sarebbe mai voltato verso chi l'avesse chiamato con quel nomignolo con cui si conoscevano da giovani, ma piuttosto si sarebbe degnato di assistere a ciò che avevi da proporre come argomento, se tu ti fossi fatto attenzionare, chiamandolo signor, commendator, dottor, Trasco Mogo Roio e lui con falsa modestia si sarebbe concesso in un cenno di ricca umiltà ascoltandoti, come per riconoscenza sordida nelle labbra ripiegate dallo sdegno: razziale? A questa impressione Lodo Rixius aggiunse quel fatto di molti anni prima avvenuto tra loro riguardante il suicidio, e di come con una frase a volte si possa cambiare la vita di qualcuno; narrando la vicenda a Lonko A. mentre passeggiando chiacchieravano; mettendo in evidenza di come la stessa vita possa cambiare e allo stesso tempo essere beffarda. Lonko A. nell'ascoltarlo attentamente si voltò verso Lodo Rixius che si era zittito dopo quell'osservazione; e intensamente come rimproverandolo gli disse <<...ma quando ti disse che si voleva suicidare... non potevi startene zitto ? e farti i cazzi tuoi... che se si fosse ammazzato ci faceva un favore a tutti quanti ?...>>.                   

martedì 5 novembre 2013

centosettantotto

...viviamo in un mondo dove le persone tengono talmente ai loro sentimenti, che raramente li usano per qualcuno; eccetto il proprio cane...

centosettantasette


Fiat Lux

...e
                  fu         il mondo.
P
o
e
s
i
a
                         complessa.                                          
                                         M                                    
                                              a                                  
                                         la   sintesi :     
        è
 
n
          o
                     t
                                e
                     v
         o
    e...           

centosettantasei

Senza titolo



spesso
              il
         g
      e   
   r      
   m           
  e                 
 del
                    conflitto
                                                    s'annida
                                                                 nella
                                                                                    ragione
                                                                  a
                                                                         cui                
                           ci affidiamo
p
     e
         r
 
                la
                       sua fama                              

lunedì 4 novembre 2013

centosettantacinque

 
                 Fisiognomica
 
Donna                 
 fiera
          i
               n
 e 
n     
t        
r        
 a        
   m     
    b  
         i   
                          i sensi

centosettantaquattro

 
 
Hannibal
 
 
 
Femminea
mi seduce la forma
di linee incavi e sporgenze
graffiando il disco dell'iride.
E mi getto un'ipotesi
 addosso in fune col
nodo da marinaio
 incluso
tra il malleolo e il monte di venere per
l'idea che segue. In rifrazione che
 si replica linearmente in
un gesto quasi
involontario
 indecente.
E
l'idea
 che
 t
o
r
m
e
n
t
a
 crea 
supplizio
da novizio
 al termine
 delle dita: mangiartela.

centosettantatre

 
 40 enni
 
 
T
     e
         m
              p
                    u
                         s
                f
              u
            g
          i
       t
che
 né io né la mia
 g
 e
  n
   e
    r
     a
      z
     i
    o
   n
  e
 abbiamo
 avuto il tempo di cambiare il 
g
u
a
r
d
a
r
o
b
a

domenica 3 novembre 2013

centosettantadue

Un istante
 
 
Un istante  
d'amore 
o   s  c  u  r  ò
l'
e
t
e
r
n
o
                                    i                                               
     m
           i
                n
        u
t
i       
      sbocciarono
                                    morendo
                                                    le
                                            ore
                profumarono
                   sazie                 
la mia anima
 si
schiuse
giovane e antica.
Nulla fu più mortale
nulla fu più mortale