martedì 29 aprile 2014

trecentosei



 
il 3 che esce dal 2
 
 
la
 rottura 
della carne
necessaria e che
 Dio avvenga in noi
concretamente nell'uscire
dall'amore giungendo al mondo 
 
attraverso               occhi
e
s
a
u
 s
t
i
laggiù

protagonista                                              tra le cosce
 col pianto             eco d'una  
profondità misteriosa in 
tutta cecità solo rivestito
d'acqua e sangue
 nobile amore
 modalità 
con cui  la 
formula Divina
raggiunge
 la
  vita:
sempre meno 

domenica 27 aprile 2014

trecentocinque

 
- stand by -
 
 
e non mi muovo qui 
le 18.08 al polso; sul letto
impiumato nell'eclissi di ogni percezione
dove i coltelli della realtà ammainano le membra
stropiccio nessun ricordo che io possa ricordare
nel mio cuore, di nessun cuore; semplicemente  
qualche immagine confusa, stupida e muta
trafelata immediatamente mi abbandona
con del senso presso di sè forse, non
per me che intorpidito snocciolo
nello stallo 
il tempo lento
mi fuoriesce; dagli occhi
muoversi  nel significato che intravedo,
collegati al cervello, il quale respirando non visualizza 
la messa a fuoco dell'esistenza sopra le coperte dove nulla è;
automa e automaticamente vestito nel non essere guardo fuori:
la finestra, la nuvolaglia all'orizzonte, la freddezza delle cose
sospinte dal vento indispettito; e m'introduco nella volontà
dell'esistenza vedendomi dalla finestra vestito; percepisco a
ritroso il tuffarmi sul letto impiumato; e nel riprendermi
la coscenza sto muto al termine di ciò che accade nelle
mie orecchie: piccoli tramestii, rumori, frammenti
provenienti dal vivere e dal morire. 
      

trecentoquattro

 
 - così è la vita -
 
Una donna col cane incontrò due amici. I tre si misero a chiacchierare. Uno dei due amici se ne andò. L'uomo rimasto e la donna col cane continuarono a conversare delle loro cose, sentimenti, faccende  trascorse, amici comuni. L'uomo accompagnò la donna col cane verso casa. Davanti casa i due si salutarono. L'uomo pensò che la donna fosse invecchiata rispetto a come se la ricordava da ragazza e che ci fosse una sorta di volgarità in quell'invecchiamento. La donna col cane pensò di essere ancora attraente se l'uomo si era offerto di accompagnarla a casa e pensò che l'uomo fosse invecchiato da come se lo ricordava da ragazzo. Così è la vita, pensarono entrambi a conclusione dei loro pensieri; senza approfondire  realmente cosa volesse dire in realtà, ma scivolando su quella frase che si erano detti tra sè.

trecentotre

- la postura - 

Magro di mezza età e con la barba curata in un disegno, il volto di Buscar velocemente roteò sbucando per Bonobo tra lo sfondo della vegetazione centrale della rotonda di uno spartitraffico nel profilo rapido del finestrino della vettura. Bonobo ebbe un moto di sussulto e meraviglia a quel volto che gli scomparve immediatamente nell'utilitarietta su cui lo vide, notando Buscar con l'espressione tranquilla come per esser riuscito a coronare il sogno della vita: essere e avere. In quella postura che risultava a chi lo vedesse, diverso dopo l'operazione chirurgica che l'avevano reso magro e accettabile per sè e di conseguenza agli altri; dopo la complicata separazione dalla moglie aveva acquistato l'indipendenza e una sorta di stile nel comportarsi pubblicamente; divenendo sin elegante dopo aver ereditato una considerevole somma dai genitori defunti, fulcro e inizio del suo cambiamento: i quali sotto quel cumulo di terra al cimitero nonostante fosse trascorso molto tempo, attendevano ancora una decorosa lapide che riportasse i loro nomi e cognomi.     

trecentodue


 - Pasqua -


 ...l'uomo con la carriola sul campo arato: su quello attiguo ondeggiano le corolle d'innumerevoli fiori gialli; la salita del cavalcavia con i veicoli in corsa sotto l'autostrada; la casa colonica abbandonata e nello spiazzo il  trattore arrugginito; la vettura che supera il cancello in ferro battuto raggiungendo la villetta bianca; le gambe esili della suora corrono da un marciapiede all'altro scuotendo i colori delle vesti al sole; l'uomo in camicia e mutande corre in tondo nel cortile di casa; il piccione pezzato becca il ciuffo d'erba; il paio di scarpe abbandonate raccontano innumerevoli vie; una coppia in tuta corre ignorandosi con gli auricolari negli orecchi: scambiandosi alcuni segni lui la supera; nella panchina limitrofa c'è chi parla di uffici amministrativi, di livelli contrattuali, e cancellerie; la donna si avvicina al cane guardandolo correre gioioso verso alcuni sconosciuti; uomini di colore seduti conversano tra loro assaporando l'incorruttibile ozio; il ragazzo osserva il mondo del suo piccolo cane fatto di odori tra le gambe di donne dell'est europeo; la donna che seduta inforca gli occhiali da sole col fazzoletto nero a coprirle il capo è mussulmana: si alza e se ne và; il vento porta i rumori della strada spegne la luce con le nubi posizionandole contro il sole; il clochard ha poche cose con sè, sta seduto nell'angolo e fuma dalle narici del naso bitorzoluto; due ragazze giovani passano vestite uguali, una col maglione bianco cinto in vita controlla il cellulare fermandosi sul piedistallo del monumento; la piccola donna dai capelli biondi corre nel parco girando in tondo; il semaforo tra gli alberi all'incrocio regola il traffico che non c'è; il sole si ribella alle nubi e ridisegna pesantemente il giorno con l'unità dei raggi; la chiesa di rito bizantino è chiusa; il pomeriggio sta traslocando inoltrandosi nella sera; il negozio di cianfrusaglie è aperto anche per Pasqua; il rumore d'un velivolo nell'atmosfera troppo in alto per essere visibile; chi si mette il maglione, e chi non si è mai tolto il piumino da dosso; mentre il ciclista passa a tutta velocità il podista rallenta e lo aspetta attraversando subito dopo l'incrocio, lo vedo scomparire correndo dietro un angolo di una casa dell'ottocento; un gruppo numeroso di magrebini sotto l'albero stanno seduti  sul muretto facendo chiasso; nel giardino dietro la rete le primule con le macchie scure sul cuore recitano le nano bellezze le rose gialle nella vasca di cemento le bellezze segregate e sotto la tettoia alcune biciclette rimangono parcheggiate; guardo in alto e il nero tenue d'un inchiostro come inquinando la giornata compare tra i colori; in terra rende polveroso la percezione unanime della giornata che si avvia al declino; disegnando a cumuli nembi, animali e volti, oggetti e corpi astratti sul firmamento...                

venerdì 11 aprile 2014

trecentouno

- raggio del cerchio -

                                                                                            
                                                 vi                 
                                                 f               u                 
                                   un 
                                                  tempo       
                              lucido 
              per me 
e per gli altri 
tutti ordinatamente intrecciati vivemmo
l'illusione ottica perenne dentro il cerchio di
cui faccio parte nell'esser ruota; colmando rotolava
 pienamente i vuoti sulla spinta di muscoli e catena; ora
relegato qui
appeso 
                                                 a
                                                  l 
                                        g
                             a
                 n
       c
i
o
in cantina nella
penombra
per me
e
per 
tutti
noi nell'oblio 
delle nostre anime lucenti
di cui nessuno ha più il ricordo: attendiamo.

trecento


- cotone -

di 
chi 
mi 
raccolse
vidi il viso.
E poi al buio; nel
sacco ero in buona compagnia
e tutti insieme divenemmo tessuto
del più pregiato: 
il 
migliore 
sul mercato.
Predestinati 
ci avrebbero  confezionati
 per delle camicie di qualità. Una partita
fallata dissero e ci ritrovammo confezionati 
in t-shirt. Da allora vivo presso il cuore, al
vertice di un occhio stampato e solo Dio sà 
come 
non 
mi 
piacciano 
le stampe degli attori:
soprattutto se sono defunti.

duecentonovantanove

- la bottiglia -


consumai la vita 
sentendomi prosciugare nel midollo
 tra risate e parole insensate; di notte
 mi abbandonarono sui gradini del teatro
illuminato nel silenzio; dove il vento a
refoli mordeva il collo entrandomi
nelle invetrate membra, sino al
 ventre in un fremito ancestrale
suono antico di cui nulla sò
osservavo la mia postura
rigida di verde con
l'etichetta in vista 
 come un piccolo
monumento
 a memoria
di corpi e spensieratezze
sino all'alba; quando una mano 
mi prelevò gettandomi nella campana di vetro.   

giovedì 10 aprile 2014

duecentonovant'otto

- il piumino del pioppo -

quando 
in primavera a
fiocco; trasparo discendendo
con  miriadi di fratelli in coro: silenti
per noi è breve la nostra vita; la morte impercettibile;
nell'azzurro gravitiamo in danze quiete all'aria senza il vento 
a renderci frenetici; ci trasportiamo rimanendo in equilibrio con
la gravità dabasso a stringer l'occhio ammiccandoci tremanti
fiori; dalla fierezza naturale incocciamo il mondo
inerte giungendo ai sensi umani  che
in uno starnuto esplodono;
a noi maledizioni  pur
non avendo colpe; ci
depositiamo a terra 
sul tappeto dichiarato dal destino; di chi
planando indossando un tondo fiore dall'albero
p
r
o
v
i
e
n
 e.
 

duecentonovantasette


- la panchina -

sono
in pietra 
semplice; il
design del corpo arcuato, un
po' smiccato e usurato sulla seduta. 
Poco appariscente ai margini del parco.
Prevalentemente vivo d'estate sentendo 
 le grida di giubilo o gioia o di
 rimprovero; mentre d'inverno 
mi ricopro d'umide foglie;
asciungandomi con spiragli di
sole. Se qualcuno siede lo sento;
quando sono più d'uno li ascolto.
Esisto dal principio del parco la
modernità che tutto sostituisce
non mi contempla se sono in
pietra: insostituibile
inamovibile. 

mercoledì 9 aprile 2014

duecentonovantasei

        a                                                                                                              
v                                                                                     
o                                                              
l                                         
t                 
vivo l'umiltà
s
e
c
c
a
n
t
 d'intuire 
                         la
                                                         mortalità          
                                                                              
                                                                                               
                                                                                                                    
                                                                                                                                   
                                                                                                                                                     
                                                                                                                                                                
                                                                                                                                          
                                                                                                                                                        

duecentonovantacinque


- mazzo di chiavi -


una fra tante
presa e indirizzata.
Entro fissando la toppa. 
Più no che si: incocciando
sento di essere cambiata
e sostituita dalle dita 
che al buio  
indovinano il
dentellato 
profilo 
c
a
t
t
u
r
a
n
d
o

la 
 chiave
a me vicina; la
quale per un attimo
breve tintinna l'acuta
sua lucentezza col tiepido
metallo che scompare nella meccanica
tenebra della toppa, in un immediato: clack  

duecentonovantaquattro


- barbeque  -

emano
fumi bruciandomi e
non mi muovo; sebbene
sia nel cuore
l'afflizione
combusta
inflittami dalla
pena del mio essere
gradito a Dio oppure Satana
non saprei:
dipende
a quale carne 
mirino le fiamme 
sotto i carboni ardenti.   

martedì 8 aprile 2014

duecentonovantatrè

                    ...il dolore esaurisce il proprio significato se è scopo...

duecentonovantadue


 - primavera -


...la giovane donna che cammina piena di magrezza e vanità; la coppia di colore si abbraccia in un'estasi dettata dai primordi; il ragazzo fermandosi poco più in là controlla il messaggio al telefono; nel parcheggio l'auto non è parcheggiata essendoci solo la mattina; nel campo nomadi i bambini in mezzo al prato si rincorrono; un cofano aperto ha un adulto che fa manutenzione; gli atleti corrono lungo la pista rossa; l'odore dell'erba tagliata mi ricorda i tramonti Svizzeri d'estate; il cinguettio degli uccelli annuncia la presenza della natura inutilmentetra al traffico; i palazzi di periferia dove la vita scorre in celle d'oblio ordinato; la gelateria del quartiere è ancora chiusa; il parcheggio sopraelevato svuotato di vetture scese; la fontana pubblica a bordi del campo dove a calcio non gioca più nessuno; incrocio un ragazzo in bicicletta di cui non ricordo il nome: passando ci guardiamo come sconosciuti; quelli seduti al sole a bere il drink simulando il mare che non c'è; la donna mi guarda seduto sulla panchina e camminando segue il viotolo in curva entrando nella siepe; mi interrompo di scrivere mentre l'amico col fare trafelato riconoscendomi si ferma: tra qualche minuto ci metteremo a discorrere delle nostre contraddizioni e della modernità di Cristo nella nostra vita...        

lunedì 7 aprile 2014

duecentonovant'uno

mi ascolto soffrire nel tempo; il quale nell'assottigliarsi tramonta; ne percepisco i giorni come siano trascorsi a migliaia; e pur appartenendomi non possa ricordarne uno per intero in successione ad altri 

domenica 6 aprile 2014

duecentonovanta

Sono ciò che sono; per quanto ne sappia l'umiltà è la regola aurea per chi abbia fede; mi acciglio all'idea di non esserlo mai a sufficienza; tanto da temere di offendere chi, di volta in volta mi si pone di fronte, possa essere recepita superbia attraverso parole dette da me con partecipazione senza filtri; lo temo, poichè senza filtri la sincerità simile alla verità non valuta l'equilibrio di sè che si manifesta necessaria, rendendomi contraria alla persona per mia personale volontà, umiltà viceversa votata alla mitezza, risposta alla fede, mancanza di filtri convenzionali nel corpo di parole dal fluire perentorio; che mi significano per chi ascolta, probabile superbia; da cui voglio spogliarmi rimanendo nell'unica volontà che riconosco, la volontà di Dio in pace, non nell'inquietudine. Inoltre credo di notare in queste dinamiche che mi trapassano, un assunto spirituale che recita per l'uomo comune la possibilità del soccombere alla giustizia d'ordine superiore, dove la stessa persona in un ragionamento dagli spunti razionali dell'esistenza, se orientati su di sè, vi si possa riconoscere, trovandoli mistici si ma plausibili; viceversa di natura irrazionali come il destino stabilisce, per chi non avesse fede, in  questo astratto movimento di colpe e intenzioni che altrimenti ci soverchia tumultuoso e senza senso. 

venerdì 4 aprile 2014

duecentottantanove

- memento -      Trentino Alto Adige  - giugno 2008 -

La fuga dalla città fu rapida quel giorno: la canicola ci fioriva rocambolescamente sulle membra. E per nulla trafelati ci trovammo sull'arteria trafficata, la quale nell'imporci l'andatura ci accodò lentamente alle vetture: ligi chiudemmo i finestrini. Conquistando il pedaggio curvammo seguendo l'obbiettivo; incontrando il lago e scansandolo nel seguirne i contorni fosse un plastico; volgemmo la testa indietro e nel volgerla ci vedemmo nei pensieri seguire la salita; che non annunciava il castello di maestosità modesta che avremmo trovato nel ristorante sofisticato il quale ci avrebbe anticipato la salita irta per giungere ad alta quota;  regalandoci alla memoria i paesaggi piani che avevamo superati alle spalle; guardando avanti ci concentrammo sulle rocce mostrarsi a guardia millenaria sui lati del ponte; invitandoci al silenzio statico di un'energia da cogliere tra i nervi; ci abbarbicammo con le ruote sulla via che disegnava il crinale della vallata; mentre ricordai parlando, quanto fosse illibata la mattina a cura del vento che nello screzio dei capelli ci trapassava frizzante e carezzevole, per noi impollinati a gioia; nei germogli di quelle schegge che il sole promanava al netto di ogni uccello che volasse e ogni rumore umano che s'accendesse; accudendolo mutevole d'ogni suono trasformandolo in silenzio per i nostri occhi davanti a noi. E dal finestrino i nostri due profili che rapidi passavano.