giovedì 15 ottobre 2015

quattrocentoquarantasette


- Caicco Marsalis Vs Oto Camuso -

Caicco Marsalis vede entrare al bar Oto Camuso. Si alza dal tavolo, lo raggiunge al banco mentre sorseggia il caffè. Due chiacchiere: come stai; come non stai; a casa tutto bene ? il lavoro come va ? meno male ?!; Caicco tra una parola e l'altra chiede a Oto tre euro << Certamente ! >> Passa del tempo e Caicco Marsalis pur incontrando Oto Camuso non fa più cenno a quei tre euro che gli ha prestato. Oto Camuso è disturbato dall'atteggiamento; dice tra sè: è passato poco tempo; e poi sono pochi euro; posso farne senza; sicuramente non se li ricorda; certo che: è il disinteresse che pare esserci che disturba; inoltre mi mette a disagio il fatto di dover chiedere una somma che è risibile; mah! E passa dell'altro tempo. Sino a che Oto Camuso si fa avanti. Caicco Marsalis un po' sorpreso, si controlla in tasca e sfila una banconota da cinquanta euro << ho solo questa, hai il resto ? >> Naturalmente Oto Camuso non ha il resto con sè, e passa dell'altro tempo. Si riincontrano e Caicco Marsalis sfila dalla tasca una banconota da 500 euro << ho questa, hai il resto ? >> Oto Camuso dopo aver preso la banconota da 500 euro, apre lo zainetto e inizia dare il resto a Caicco Marsalis che rimane stordito dalla preparazione di Oto il quale sfila: 10 pezzi da due euro, 80 pezzi da cinque euro, 30 pezzi da un euro, 93 pezzi da cinquanta centesimi. Che in tutto fanno 497 euro di resto secondo i calcoli di Oto Camuso. Caicco Marsalis un po' risentito, dopo aver saldato il debito e trovato posto al resto di 500 euro nelle tasche dei calzoni, giacca, sin nei calzini ha arrotolato delle banconote; fissa Oto Camuso vedendolo negli occhi, gli dice << se d'ora in avanti non mi saluti più: è meglio ! >> Oto distrattamente con noia, risponde << cercherò di farmene una ragione >>.         

quattrocentoquarantasei


- Il delitto -

Di te mi restano innumereveli cose. Brevi ingratitudini con cui piego i sentimenti, comparse dal cabotaggio mediocre, l'alfabeto esanime, parole che sotterro o resuscito causandomi l'infermità dei pensieri ipnotizzandomi. Ti assicuro: è un gioco. Di nuovo, di noi, non c'è nulla che possa attirare l'attenzione; il nostro panorama interiore è costellato da chiese demolite, antri oscuri; l'autenticità depredata da falsari, conoscenti reclutati dall'insensatezza. Se intercetto qualche senso di colpa non lo rimuovo, lasciandolo lì a rasserenarmi; se incontro le tue sofferenze causa mia, ironicamente capisco. Come capisco gli attimi su cui svaporammo. Fummo estorti da cocciutaggine d'amore, rimanemmo insieme per commettere atti tranquillamente puri tra noi. Non può essere che così.

mercoledì 14 ottobre 2015

quattrocentoquarantacinque


- l'occhio migliore -

Eri imperscrutabile nell'angolo. Tolsi dalla tasca il mio occhio migliore. Vidi il candore annerito con cui ti muovevi: era venato dall'estasi sui bordi impercettibili del sè. Richiamavi pudore nel desiderio la giovinezza riottenuta dall'imprevedibilità. Un velo chiarisce, tutto rabbuia. L'incertezza ti disegnò il volto di plusibilità per note con cui saresti sprofondata e riemersa ebbra. Tacqui con me.  

domenica 11 ottobre 2015

quattrocentoquarantaquattro

 - la metanoia di Quercus Gonzales -

Quercus Gonzales fu preso per i capelli. Così dice, quando spiega il momento della propria malattia. Dopo l'operazione la convalescenza, e quando ritornò al proprio posto di lavoro aveva qualcosa di cambiato nell'imo. Non lo notai subito. Lo capìì dai suoi discorsi, dai suoi appuntamenti di preghiera, dalle sue mete ai santuari e chiese sparse un po' ovunque. Non ho mai messo in dubbio la conversione di Quercus Gonzales nonostante la sua vita fosse costellata di curiosità, definite contraddizioni se si guardano dalla prospettiva scettica, normali dalla prospettiva cristiana,ipocrita anti-religiosa. Quercus Gonzales è fortunato al gioco, spesso vince. Evidentemente ha una stella che brilla più di altre. Forse non dovrebbe avere il vizio del gioco. Chissà, ma la cosa più curiosa è che dopo il raccoglimento in preghiera, la quale avviene in qualsiasi luogo, ora, indipendentemente dagli impegni, pare esca dal momento di preghiera con una forza contraria, la quale sfoga immediatamente col sorriso beato di chi non fa nulla di male, mostrando p.es a chiunque i video a sfondo sessuale che gli amici gli postano sul I-Phone. L'altro giorno, mi ferma e mi chiede provocatoriamente se mi ha fatto vedere il video che mi vuole mostrare, non ascoltando la mia risposta, avvia la scena che inizia a muoversi davanti ai miei occhi, sul display: l'uomo con la barba dei trentenni pare essere del nord Europa, si cala i calzoni, prende per la briglia un cavallo pony, se lo avvicina, si sdraia supino su un tavolo, prende il fallo del cavallo, lo indirizza sull'ano e si fa sodomizzare. A quel punto incredulo gli dico che non voglio vedere e di allontanarmi il display: provo ribrezzo e schifo. Quercus Gonzales ridendo del mio sdegno di fronte alle immagini, probabilmente ottiene l'effetto che vuole suscitare e continuando a ridere cerca attorno a sè, qualcun'altro da sdegnare. A volte usa le immagini; altre volte usa le parole raccontando delle storielle. Tempo addietro mi disse. Un ragazzo si avvicina alla fontana per bere. Una voce da lontano gli urla: << non bere è acqua avvelenata ! >>. Il ragazzo risponde << io ragazzo rom, non capisce cosa tu detto !? >>. Di nuovo la voce. << ho detto di bere piano che l'acqua è fredda ! >>.  Quercus Gonzales dopo averla detta, ride sornione con la risata che gli fa sobbalzare d'inevitabilità le spalle e tra la barba affiorano i denti nel sorriso; e se l'effetto è come desidera ne produce immediatamente un'altra di nuovo: << due si trovano al caffè, uno dice all'altro " se faccio l'amore con tua moglie siamo parenti ? L'altro lo guarda, fa " no, siamo pari ! >>.  E ride guardandosi attorno contando le facce che ridono felici, come se fossimo tutti lì al bar del circolo ad aspettare che qualcuno come Quercus Gonzales ci racconti la sua versione comica e sarcastica delle cose, invece di essere lì per lavorare. Al che tutti alla spicciolata senza dare nell'occhio scompaiono.                  

mercoledì 7 ottobre 2015

quattrocentoquarantatre


- Il teatro notturno -

Abolirei la notte. Negli anni illiberali di gioventù la notte era sapore di vita da compiersi. Se non si fosse compiuta nel lasso di tempo dalle ore piccole, l'esistere l'avrei visto svanire, arretrato sul ventre del giorno, in fitta coltre di significati dagli aromi insopportabili: non vissuto e non consumato. Ora quella notte è colma di vivacità insensata, euforia invernale ai miei occhi. Vivacità che non raccolgo nell'imo, come ne fui ebbro; il passaggio temporale sul ponte interminabile del mio cammino mi vede avanzare con ciò che non svanisce di vivacità caduca; si adempie bruciando di santità sull'altare della serenità, consegnandomi avvoltolato a carezze, il sentimento delle notti di allora: inevitabili finzioni dall'accento mediocre. Per gente come me la luce del giorno ci avrebbe distinto di fallimenti a venire.   

martedì 6 ottobre 2015

quattrocentoquarantadue

 - lago d'Idro -

Le canoe sull'acqua remano in antitesi al tuono in quota. Le alghe ondulandosi sott'acqua racimolano grazie a filamenti ghiacciati: acconciature che declamano gli occhi in apnea. I fari illuminano i rospi sulla strada; mi dico: l'odore palustre mi accende i sensi, raggiungerò la meta. Da qui la chiesa, è chiave antica infilata in vetta. Dabbasso la criniera bianca è una pavoncella d'acqua inghiottita nella semiluna dell'ansa. Al triangolo del mio occhio individuo il pontile che noiosamente sta lì, riceve il cullare dell'onda sospinta da un fremito. I rintocchi della campana sul dorso dell'aria liberano il suono tracciante s'infiamma. Lassù in simbiosi a cime innevate il volo a spirale del rapace dal candido capo è legge: col rostro segue il solito e crudele spartito.