martedì 6 settembre 2016

quattrocent'ottantasette


 - Un luogo da hippy -

Scendo la strada si apre la baia vicino ad un piccolo promontorio: arroccata come una conchiglia fusa alla roccia, la cittadina. Il mare pieno di kitesurfing trainati col filo dagli aquiloni in cielo; sulla spiaggia la gente indossa la tuta da sub prende la tintarella, un tipo conficca nella sabbia l'ombrellone lo apre, si lega la corda alla caviglia - recupera surf - lo spinge in mare gli alza la vela, il figlioletto guarda la manovra, il cane scodinzola annusa qui e di là scompare tra le biciclette, chi con la vela su un tavolo improvvisato armeggia con le chiavi da lavoro, chi cerca un attrezzo nel baule del camper. Parcheggio a pochi metri dal mare, la spiaggia è breve. Di sera la risacca bagna la luminosità delle stelle, il mare color del petrolio si culla brillando nella pupilla di ogni sguardo. Il tipo con il furgone wolkswagen westfalia con la veranda di fianco i calzoni da frichettone le babucce i capelli lunghi sfilacciati ascolta un pezzo reggae. Dopo qualche decina di minuti, capisco che non scherza: gli piace il raggae per davvero. Le canzoni sono già parecchie da un po': le ascolto abbastanza volentieri, seguo la ritmica sempre quella all'inizio tump ta tap tump ta tap e via col brano che è sempre la stessa solfa: non mi lascio andare alla ritmica nemmeno con i piedi per non sollecitarlo. Come non detto. Il tipo non so perchè, fino a quel momento non dava cenni di ossessione, tira fuori il bongo, si mette ad accompagnare i brani reggae. E' capacino, non storpia i brani nemmeno ci canta sopra. Come non detto. Evidentemente si rulla su un cannone di troppo, inizia a cantare come una rana, sbaglia il tempo sembra un cane che corre con la catena che gli fa scintille sull'asfalto: ta ta tu tump, zamp tap zu zum traapatà,  non capisco chi canta la canzone, il ritmo la stessa canzone: il cagnetto gli zampetta tra le gambe abbaia intonato più del bongo e della canzone che sta cantando con voce roca alla Tom Waits, mi vien da dire" ste par de p..." Gli è scesa la catena. Pare di assistere alla diretta radio di un sabato notte reggae- drum-base - dal centro sociale del Leoncavallo di Milano: nel frattempo è venuto mezzanotte. Il tipo non si dà pace, beve per rimanere lucido è tutto un dire, vuol dimostare a se stesso che è un ottimo accompagnatore col bongo e bongheggia come un ossesso su tutti i rumori che la sua testa gli dice da stordito sente. Per farlo smettere scelgo dalla mia discografia un pezzo da contrastare l'invasione ossessa del reggae alla marinara che col bongo non mi fa dormire. Thunderstruck degli Ac Dc a manetta, nel frattempo canto anche Faccetta nera / sarai Romana la tua bandiera sarà sol quella Italiana / noi marceremo assieme a te / e sfileremo avanti al Duce e avanti al Re /. La và o la spacca: ci litighiamo, non se ne parla più. 
         

domenica 4 settembre 2016

quattrocent'ottantasei


-I motociclisti cecoslovacchi -

Compaiono a caschi bianchi sull'asfalto, mi superano nella corsia di sorpasso vestiti da motociclisti, in piena velocità rilassati sul cavallo di acciaio si accostano l'uno all'altro, accelerano decelerano nella corsia cenrale, parlottano a gesti, espressioni con le mani guantate, qualcuno annuisce con la testa bianca del casco, il fazzoletto da cow-boy sulla bocca, il giubbotto nero; sul portapacchi ognuno ha la tenda arrotolata, le solite cose che ci si porta quando si dormirà all'aperto in ogni luogo di mare. All'unisono come un nugolo di vespe nere virano nella corsia di sorpasso, all'inseguimento del tempo penetrano la luce del tramonto che compare davanti a noi, superano il sole deviano a gran velocità scendono in direzione del ponte, vedo laggiù che congiunge la terra ferma all'isola. Si dileguano sul ponte, lampi fulminei sulla corsia di sorpasso ripiegati a piloti degli anni 70 sulla loro moto da corsa.   

quattrocent'ottantacinque


- La ragazza americana-

La ragazza americana con la chioma bionda indossa il cappello di paglia col fiocco annodato a numero otto di tessuto ecrù. Il costume un bikini nero col reggiseno blu sulla pelle chiara; sceglie il luogo sulla spiaggia, stende il telo mare, la borsa intrecciata di canapa rigida semi aperta dove un telo piegato emerge, si corica, rovista nella borsa, toglie il telefono cellulare, si scatta un selfie spalle al mare, lo ripone nella borsa. Dopo qualche ora di abbronzatura sdraiata, seduta col sorriso si ravvia la chioma, si aggiusta il cappello, guarda il mare abbracciandosi le ginocchia. Vede l'infinito, contempla i propri pensieri, li medita: un pensiero, un desiderio, una soluzione, un dubbio, la realtà delle proprie dita del piede infilate nella sabbia, calda in superficie, tiepida, fresca in profondità. Paiono conchiglie di carne, unghie dal fiore vermiglio, compaiono scompaiono in un gioco divino. 

quattrocent'ottantaquattro





- Non è avvenuto nulla di chè -


Se il caffè lo desidero servito al banco o al tavolo seduto. Rispondo seduto, cambio immediatamente opinione, quando vedo che la barista prende la tazzina di polistirolo la mette sotto il gruppo del caffè, per servirmela al tavolo. Tazzina di porcellana a banco, di polistirolo al tavolo. Mi affretto a dire che il caffè nel polistirolo non lo gradisco, preferisco la tazzina in porcellana. La barista mi risponde che è troppo tardi. Per farle capire che il caffè è una scelta individuale, rito, per chi lo ama, le dico che pago il caffè nella tazza di polistirolo anche se non lo bevo: me  ne fa un'altro nella tazzina in ceramica. Interviene un avventore a banco dallo zelo misurato che pare interessato, immagino di chi si trovi in borghese nel luogo in cui lavora, per dirimere la questione: con garbo alla barista rigida fa segno di servirgli il caffè nel polistirolo, accontentandomi come cliente. L'aiuto barista che serve misuratamente i piattini ai clienti, le relative tazzine di polistirolo o di ceramica a seconda della scelta del cliente di dove stare, stordito dalla querelle del mio tuo, mio tuo, suo a chi lo do sto caffè a questo a quello ? visto l'intervento dell'avventore in borghese disposto a bere il caffè nel polistirolo,inizia a guardarmi, come fosse un condor delle Ande piombato sul cornicione di una casa in periferia tra via Sabotino angolo Venturelli; sbircia la barista fosse vestita da sorella di Satana, l'avventore in borghese che gli pare possa risolvere la questione ingarbugliata gli vede la tunica del Santo, nello stordimento dell'alleanza con l'avventore in borghese con cui forse lavora, si sente straniato: tazzina del caffè in mano la testa che gli gira, la mia la taglierebbe con un'accettata; mi si avvicina insicuro col timore di sbagliare, se lo riprendo fa una figuarccia da tonto che rimane, con la luce d'un'occhio accesa risponde a ordini contrordini della sorella di Satana, nel frattempo l'avventore in borghese che ha maturato la sensazione di aver fatto il passo più lungo della gamba, non vuole intromettersi più del necessario, la situazione da imbarazzante sta montando antipatica comincio a sfoderare un linguaggio tra il tagliagole e l'ergastolano. Con accenni spazientiti di chi vuole mollare i cavalli per sacramentare un campionario di Madonne variopinte che fanno vergognare chiunque sdegnandolo: arriva un terzo cliente. Con sorpresa appena fa cenno al barista straniato ordinando un caffè, il barista si risveglia servendoglielo immediatamente. La barista sorella di Satana si rende conto di aver acceso una miccia a fiamma rapida, la rigidità della suo modo di porsi col cliente nel qual caso io, ha creato una sostanza senza nome, esplosiva innescata negli avventori uomini, ha generato un vespaio sulla testa di tutti, guerra non voluta ma inevitabile cui non si trova rimedio. L'astio impalpabile della situazione irrimediabilmente che sfugge mi ha indispettito, straniato il barista, l'avventore borghese ha maturato un senso di colpa, il terzo ignaro il caffè se lo sorbisce col groppo in gola immediatamente subodora la tensione che vibra nell'aria, con la sensazione di essere sorvegliato dalla spada di Damocle che gli scende sul collo; arriva il quarto avventore tranquillo come un Dalai Lama che ordina il caffè. Nessuno gli chiede se lo beve a banco, a tavolo, se desidera la tazzina di porcellana di polistirolo. Un Deus ex machina deve aver sostituito la barista sorella di Satana con un'altra, la quale con garbo, gentilezza da non militante, mi serve finalmente il caffè nella tazzina di porcellana assieme al quarto avventore tranquillo come un Dalai Lama il quale al tavolo sorbisce il caffè moderatamente bascula lentamente la tazzina in bocca riflettendo ai casi suoi, silente percepisce il movimento della gente a fare il bagno o prendere la tinatrella.  L'avventore in borghese si è defilato nel corso del bailamme imbarazzante, l'avventore che pensava alla spada di Damocle scomparso, l'avventore Dalai Lama seduto al tavolo legge una rivista. Il barista straniato dalla confusione guarda l'orologio si toglie il grembiule finisce il turno di lavoro. La barista sorella di Satana sostituita, fa capolino da una porta di servizio mi guarda ed esce. Tutto si dissolve come nulla fosse avvenuto in un bel pomeriggio di sole.