lunedì 23 gennaio 2017

quattrocentonovanatrè



Willy de Ville 


Il tipo ha un capo spalla marron da cow boy delle montagne rocciose, di quelli che s'indossano in una tormenta di neve; ha lo sguardo di chi osserva un avamposto dove finalmente riuscirà a bere qualcosa di caldo nella tazza che stringe tra le mani, da un samovar tolto dalla piastra sulla stufa. Entra dalla porta vetro, si avvicina al bancone del bar come se entrasse in un saloon prima d'una carneficina pulp. I risvolti ricciuti del montone maniche / collo evidenti, i capelli sono spettinati da pianista geniale: forse lo è, mai disperare l'eccezionalità: pepite nella grotta dell'ovvio. Tatuato ovunque tranne il viso ricorda vagamente uno dei tre moschettieri di Dumas, perlomeno lo evoca ( privo di piglio ironico sotto i baffi ) ma non ha il phisique du role da spadaccino del Re. Ricorda piuttosto Willy de Ville dei Mink de Ville calza un paio di vaqueros da messicano, da chi vive in un ranch a El Paso nel Texas, oppure evoca la vacanza nella regione della Camargue a sud della Francia nella cittadina di Saint Marie de la Mère, dove vivono gli zingari e le fameliche zanzare estive che atterrano sulla cute per succhiarti il sangue, tranne quando soffia il vento. Pare si sia studiato il copione comportamentale da divo di provincia prima entrare, tra noi zotici incolti. Guarda il barista con l'espressione psicopatica, con due mosse pseudo-nobili da salotto kith disprezza il luogo da mensa popolare, si rivolge al banco il barman risponde " và là". Deve avergli detto una cazzata fuori misura per avergli risposto va là. Mi aspetto che dietro l'attore compaia la macchina da presa, il regista, l'aiuto regista, compagnia bella. E' vita vera.  E io sono in prima fila non ho pagato il biglietto solo la consumazione: il gin tonic fatto col Tanqueray Ten, se esageri ti dà l'impulso di far l'amore con chiunque pensando sia normale, rinveni scopri che hai fatto l'amore con uno gnomo con la parrucca da prima donna, ti sei intrattenuto filosoficamente con un paio di baldracche polacche con le pieghe dell'infelicità negli occhi, parlato con un rinsecchito di sinistra che chiede attenzione per i suoi castelli svaniti nell'aria: di fronte a questa infelicità ordini l'ennesimo gin tonic col Tanqueray Ten. Non per fare il moralista, ma quello che voglio dire è che il gin tonic è un circolo vizioso, il cane che si morde la coda. In ogni caso al barista che gli dice va là, distratto dal Samsung Galaxy a 3, Mink de Ville appena vede che solleva il capo per dirgli un altro va là, gli dice che: ha tre appartamenti a Milano, è una sorta di manager, uno scienziato, un ingegniere di Google, stilista per grandi aziende, desiger di prototipi, il barista non riesce ad abbassare la testa e continuare col pippiripì / pippiripì del giochino stordito dalla rapidità dell'eloquio, un po' interessa sapere di tutto questo lusso che deborda dalle parole, ma ne farebbe anche senza resta ipnotizzato qualche istante di troppo; Mink De Ville attento al canovaccio ipnotizzato / distratto, le dice più fragorose, alza la voce, sente l'effetto cinematografico della voce che risuona roboante tra la plebe seduta come me, nelle quotidianità dei fatti propri beve qualcosa, parla sottovoce, gusta qualche stuzzichino, ma non può fare a meno di farsi anche gli affari di Mink de Ville che straparla, strabeve, stramangia, rigorosamento tutto col prefisso stra; si spazzola con la mano le briciole sulla camicia, si concentra di nuovo nella recita dell'uomo di successo per la platea di noi avventori sfigati. Il barista occupato con il giochino pippirippipì / pirippippì del Samsung Galaxy a 3 che lo fa disperare si fa scappare un porco qua / un porco là in cinese. Mink de Ville esperto in relazioni del cazzo nonostante il disinteresse del barista a starlo a sentire, non molla la presa: è uno stoico liberista di se stesso nel mercato libero da cazzaro. Ne ha talmente tante da dire che s'incolla al banco con la postura di chi non si fa intimidire dal silenzio, dalla vergogna, dal fuori luogo, beve una birretta ad alta voce, si guarda attorno, sguardo inornato da ratto, attacca la sinfonia madre di tutte le battaglie: snocciola gusti, le feste cui partecipa, le donne che conosce, le vetture che ha guidato, i vestiti che indossa, le cene, i locali che frequenta, donne con cui ha fatto l'amore, personaggi con cui ha confidenza culo / mutanda, un personaggio famoso con cui ha pranzato c'è un selfie che li ritrae insieme, l'ha incontrato ad un Mc Donald poi hanno mangiato parlando di affari, gli aperitivi, ecc. si spettina nervoso come a mangiarsi le unghie si riavvia la chioma dal klezmorim, senza conoscere una nota di violino nè di soul nè di musica etnica dei balcani tantomeno è ebreo askenazita, solo un super uomo del nostro tempo decadente. Un po' di tutto, niente di originale, un patch work culturale, talmente abituato a mostrasi che ignora se stesso, si identifica nelle riviste di tendenza, un po' più approfonditamente nelle trame dei film, poi su quello che è il suo proscenio da cui vede dall'alto in basso gli occasionali spettatori della sua esistenza mi scorge. Con un taccuino aperto sul tavolo, una penna tra le dita, indosso la maschera Anonymous di Guy Fawkes.  

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