mercoledì 19 luglio 2017

cinquecentodiciassette



Se ti ami all'eccesso cosa resta all'lterità ? Il nulla di classe avvolto nel plepo ideale ? L'inconsistenza utile d'un copione logoro ? Il volto di chi invecchia nei sensi crollati ? Vivere sotto l'egida della paura: non siamo fratelli usciti dalla stessa sofferenza ?
  

sabato 15 luglio 2017

cinquecentosedici



La bella Inglese nel vestito di quarta su donna di prima, mostra la sua simpatia al limite dell'interesse. Mentre le figlie saltano nella nuvola di purezza e con le racchette in mano rincorrono la pallina col pizzo a cono; mi chiede: have you get a light ?  Le allungo l'accendino con cui può illuminare il cero e la notte a piacimento. Le dico "keep it". Al mattino nel viso magro, occhi in alga marina, col motore acceso sterza, si ferma lovable, mi annuncia il proseguimento: và in giro per l'Italia.  

cinquecentoquindici


- Abbazzia di Montecassino -

Le ragazze polacche si coprono le gambe prima di entrare. La statua di San Benedetto nel chiostro è circondata dalla siepe. Ai muri sotto i porticati lastre marmoree con frasi in latino. Dalla balaustra il panorama in miniatura; la vigna minuta qui sotto col vino in vendita che non è a buon mercato. Le colombe bianche evocano lo Spirito Santo, son prudenti nella coda scomposta ricamo d'un fazzoletto stropicciato, sui gradini; altre sbucano tra le decine di piedi in marmo di balaustre, atterrano sul capo della statua ad ali aperte con frenesia ricercano l'equilibrio.

cinquecentoquattordici


 - Matera -

I camerieri zelanti come difensori arcigni di squadre di calcio, dal sorriso gioviale la stanchezza di mezz'età il primo; orecchino al lobo capelli folti radi al centro da violinista chiacchiera pronta all'uso allo stop: comme vous voulez messieur; l'altro. Taciturni, ascelle nuvola sudata nella camicia, roteano a turno il periplo del tavolo cui mangiamo. Dopo la tagliata, grana rucola una birra media: torno tra i vicoli. Da città degli stenti: Cristo si è fermato a Eboli, alla supremazia architettonica. B.Buozzi la via costruita nel ventennio che congiunge i due rioni dei sassi di Matera. Caveoso / Barisano. Gente nelle piazzette, seduta, a zonzo, piccoli concerti unplugged su sgabelli, l'umanità elegante ai tavoli, la vitalità di vicoli vuoti, silenzi da pentagramma, scorci allacciati al diadema inestricabile chiese, volti, insegne, musica che compare ed emerge al buio della sera al panorama di luci ora calde ora fredde. Scendo i gradini di Sant'Antonio, risalgo il vicolo, la scritta murale dell'innamorato - niente dura per sempre, vuoi essere il mio niente per la vita ? - Dalla piazza del Duomo: il panorama verso il basso mi si presenta ad anfiteatro notturno; un alveare illuminato di minuscole case in pietra una sull'altra.

mercoledì 12 luglio 2017

cinquecentotredici



 Metaponto

Le strade rabberciate con chiazze di bitume, larghe crepe, numerose depressioni, l'oasi del parco archeologico un momento salvifico: soccorre. Curvo, il cartello indica il santuario Apollo di Licio. Il parco archeologico. Nella completa solitudine, passeggiamo tra le rovine il sole a picco. La plateia, l'ekklesiasterion, il tempio di Hera, di Dioniso, Atena, Apollo, Artemis, il sacello d'Apollo Aristeas, Santuario orientale, tombe romane, l'agorà, tempio Ionico, l'architrave, fregi decorati. Non mi và di chiudermi in museo per continuare la visita, mi metto alla ricerca delle tavole palatine. Non ho idea di cosa possano essere, non ho un opuscolo, non ho una guida, seguo le indicazioni in tangenziale. Cartelli sbiaditi più sbiaditi della parola sbiaditi non aiutano; dubbioso supero il sotto ponte pieno d'immondizzia, di fronte alla struttura, sul muro lo stentoreo Antiquarium Metaponto. Nessuno in biglietteria, dietro la palazzina una cancellata, un giardino con alberi, panche, tavoli, giochi per bambini, siepi, oleandri; svetta quello che rimane d'un affascinante tempio Greco. L'entrata principale serrata, l'entrata laterale aperta. C'incamminiamo, riconosco il regista in visita con l'attrice, indossa il Borsalino ecrù, non parla una parola di Italiano, con loro una donna dal volto intelligente. Ammirano osservano, leggono traducono gli accenni storici del luogo, se ne vanno. 

martedì 11 luglio 2017

cinquecentododici


- Gaeta -

 Sull'hotel campeggia l'insegna Gajeta, nella piazzetta assolata il fazzoletto d'ombra ospita il tavolo del rinfresco. Gli invitati hanno, chi la cravatta slacciata, chi la giacca sbottonata, chi l'abito cangiante color piombo appiccicato al busto, alle gambe dal vento che soffia, chi l'abito lungo che si gonfia su tacchi a spillo instabili. La chiesa del porticciolo svetta sul litorale, una più elevata la sovrasta per forma, importanza, non per autenticità. Nello svincolo presso la scogliera il frenetico esserci e scomparire nel traffico; al semaforo il tipo di colore vestito da giocatore di golf non lava i parabrezza delle vetture, chiede direttamente l'elemosina; l'evoluzione è inesorabile, avviene in tutti campi del sapere. Il lungo mare simile a centinaia di altri ha qualche angolo lezioso, qualcun'altro incantevole. Il Vigile Urbano mi consiglia di spostarmi dal parcheggio vietato: ho pagato, ci mettiamo d'accordo. Mangio, guardo il mare, una cartolina a colori vivaci sbiadita dal consueto. Mi fermo al bar, il barista mi fa un pistolotto in sottotraccia mentre mi serve il caffè, per via della sacralità del saluto; lo ascolto, mi accodo, gli dimostro tutta la mia indignazione nei confronti di quei maleducati che non salutano. Pago, me ne vado, lo saluto il doppio. Accendo il quadro, avvio il motore.         

cinquecentoundici


- hic sunt leones -

La tizia non è ricercata nel biondo, il tipo con la barba curata ha i pensieri sulle montagne russe soffre di vertigine simula tranquillità. Mi chiede cosa voglio: la ragazza che ha di fianco dietro il banco è formosa indossa un'abito grigio il volto grossolano beve a collo l'acqua dalla bottiglietta ha stampato in viso l'espressione di chi attende risposta ad una domanda. I due carabinieri sbucano dal bagno con audacia militaresca e presenza scenica, uno inforca gli occhiali da sole, l'altro si allaccia la cintura dei pantaloni. Gli altri due avventori che sembrano del luogo, paiono carabinieri in borghese. Uno ha  un cappello da baseball in testa, l'altro fa il ragazzino con la faccia normale da pensionato indossa una t-shirt a righe verticali, legge il giornale ma si vede lontano un miglio che non si fa gli affari suoi. I due pensionati diciamo cosi, paiono matti, o perlomeno turbati da una monomania, non so cosa me lo faccia pensare; niente, è semplicemente la postura dei pedoni sulla scacchiera della hall di questo bar di periferia. Ricordo la medesima scena in un luogo analogo con persone sui generis. Fu quando entrai al bar di fronte al manicomio - Il barista mi chiede nuovamente cosa voglio, gli dico " un caffè scecherato ". - Fu un'esperienza curiosa, ricordo che uno di questi avventori minacciò una ritorsione alla barista, la quale con una calma serafica sfoderò come da copione una risposta efficace, che il sui generis, accettò senza controbattere, nelle proprie dinamiche mentali, rimanendo zitto, si sedette cercando un angolo nel bar. Un altro sui generis con una giacca di pannetto marrone aveva guardato la sceneggiata con l'espressione torva riprovevole di fatto non intervenendo e non sarebbe mai intervenuto, nello sdegno facendomi comprendere che quella era la sua espressione standard. Il silenzio dopo il diverbio si era appesantito lasciandomi ipnotizzato stranito su queste figure aliene, le quali non erano le uniche in quel bar, ma con mia somma sorpresa riempivano il locale. Mi resi conto che ero capitato in un bar frequentato da sui generis, scriteriati, svitati, forse con istinti omicidi; per un attimo mi sentii perduto se non fossi uscito immediatamente, mi sentii animale in trappola, ma allo stesso tempo ne ero affascinato. I loro volti contorti / spiritati / girovaghi / gemellati al vacuo / all'impossibile / mai sereni sempre profondamente convinti di qualcosa di micro o qualcosa di macro, mi si svelavano vieppiù rimanevo a banco a sorbirmi il mio caffè. I due pensionati che paiono carabinieri, non sono sui generis, evocano la particolarità, in questo caso evocano un momento che avevo completamente perduto nella memoria. La tizia non ricercata nel biondo, siede alla cassa ha il telecomando in mano e cambia il canale di trasmissione. Il DJ con i baffi seduto nello studio ripreso dalle telecamere dice un'ovvietà al microfono. Il carabiniere col volto che non si sviluppa in fuori, ma rimane nell'ovale come una civetta si siede. Quello con gli occhiali da sole, ha un sorriso d'intesa con la tizia non ricercata nel biondo, la quale contraccambia. Tre facce da zingari entrano nel bar. Pago il caffè. La famigliola a colazione all'entrata seduta a tavolino pare sia in preda ad una nevrosi da consumo croissant, ma riesce a parlarsi gutturalmente. L'insegna del bar non l'avevo vista all'entrata, la noto rotta all'uscita, le vetrine sporche rendono il bar una spelonca, di quelle notturne frequentate da tagliagole pendagli da forca con le risse all'ordine del giorno che creano intesa e socializzazione da periferia. Nell'andarmene provo una sensazione di leggerezza. Accendo il quadro.      

cinquecentodieci


- Taranto -

La quantità dozzinale, il pattume in angoli abbandonati, il ponte sul golfo, le innumerevoli cisterne numerate 3035 / 3036 / 3037. Nella rada del porto navi militari, altre mercantili, enormi montacarichi, i tubi rossi di vernice che fuoriescono da terra si sviluppano raso terra, un piccolo volante nero ad ogni giuntura, il non veder volare i gabbiani, solo alte ciminiere di mattoni, gli edifici abbandonati, snodi rotonde astratte: qui probabili, qualche cane spelacchiato sul ciglio della strada i negri dal volto combusto in fila indiana sfiorano il guard- rail. Altri seduti attendono l'autobus sotto la pensilina. La sterpaglia è padrona ovunque. La canicola non impensierisce, il mare una striscia scura in orizzontale compare sui tetti delle abitazioni. L'immancabile refolo del vento sale, disarciona ciò che è leggero, lo sovrappone ad altro, riordina caoticamente il disordine precedente, poi alberi dal tronco annerito dalle fiamme. In questo reticolo di vie, rotonde, lavori in corso, il navigatore continua a consogliarmi la seconda uscita / poi - ricalcolo percorso -.L'indicazione storica sul cartello marrone recita - segui le orme dell'antica Grecia- mi suona ironico. Nel brutto che segue il fatiscente, nel ciarlatano che precede il mediocre, il fiacco, lo sfinito, il deplorevole, al mai colpevole, nell'immunità di chi pensa gretto / ghetto, e realizza peggio, nel socialmente distratto, al popolo umiliato, di questi pesi morti responsabili, mentre guido mi viene alla mente il ricordo d'una lettera letta alla radio, di Pericle " la superiorità di Atene è per la ragione che gli ateniesi sono tutti filosofi e tutti amano il bello ".    

cinquecentonove


  - à la guerre come à la guerre -

Pensi che non conosca, le lusinghe di abbagli che ingessano, il fascino dell'inerte scintillio, l'otturazione della società, la cupa incrinatura dell'io crisalide che pulsa nell'imo, non intraveda, non riesca, non intenda, nessuno soccorre la libertà di altri poiché ciascuno è satrapo, e non sappia dell'inganno: deboli rende forti i torti; oltre traspare il sentimento, s'innalza, separa, conquista verità assolute, l'incertezza si propaga, si dilata, sfiorisce. Non semplicemente uomo donna, ma spirito e amore, oltre il vero, oltre lo scibile. Il senso dell'eternità che ci percuote, ci pervade, ci stupisce, e l'utile mediocre che giace nella turbolenza di una colpa moribonda. 

cinquecent'otto




 - Melting pot -

Percorro la cornice della rosa le spine le riempio di note musicali. Non ho mai aspirato al respiro delle deformità, si amplia sino a raggiungere il confine del mefitico. Il nevischio nella tormenta si dibatte nella bottiglia al sole. Sul tavolo di pizzo il freddo. Sono l'uomo irraggiungibile di cui la storia non parla, l'uomo dalla retta imperfetta come una viscida didascalia, un tralcio tra i raggi brillanti di un'epoca. Vinco l'ibis sacro che svetta sul comignolo del tetto. Se la piazza dal cuore infiammato s'apre a ventagli spirituali la Cattedrale s'adombra di fisicità luce che s'impone nei corpi di noi commensali. Programmiamo a file interminabili di cappotti, in cui ci reggiamo impiccati sulla croce temporale, maniche flosce di vicende che primeggiano su centinaia di cubi di porfido. Chi abbaia nello spirito pragmatico da locusta non presta  attenzione ai piedi in cui deambula, non ode il vento che piega le ragioni, nemmeno dall'altura la vetta che compare dal freddo. Insorge catapulta sino al basso alluce passando per il malleolo stanziale. Per legarsi al Dio migliore il cuoio nelle scarpe è il colpo da biliardo esatto, Akon canta una canzone reggae, la radio dal portico lungo, il tridimensionale disegno riproduce il quarto d'osteria. La cinese che serve in osteria mi saluta con un ciao privo di toni lungo come una settimana di lavoro sottopagata. Chi apre il quotidiano ali di carta legge la carcassa sanguinante d'un bove. La donna col passeggino si ferma. L'elefante della memoria con la proboscide allunga l'asciugamano. Il folle con i calzoni gialli e la camicia rosso fiammante ride alla statua. La melodia della neolingua soprassiede al velo turchese. Al tabacchino non danno il resto di caramelle. Il combattimento dell'amore nel riprincipio declama, ci siamo amati d'una bellezza di cui ne valeva la pena, mio Dio quanto è lunga questa pena. Penso ci ripenso; noi che rammendiamo reti ritinteggiamo lo scafo in controluce entrambi imbrattati di pece nera. La sera poi la notte, lo sguardo del mattino. Il fanciullo dipinge a guazzo la facciata della casa a Madonna che invochiamo: e rivestiti da lenzuola di yuta riponiamo i nostri mesti sentimenti. Ristrutturo il passato per evocare la pace. Come non capire che la fortuna per noi è l'intensità in ogni ruolo, il resto frattaglie prive di compassione. Dalla finestra la donna scorge il gatto annoiato, passa in rassegna le teste degli umani da lassù, sorveglia ogni roditore che saltella e s'infila nella fogna. La via del centro storico contiene nell'umidità l'ombra dell'intera mattina. Sul tavolaccio il taglio del sole è lama mobile con cui divide il chiaro lo scuro. La scalea da cui scende l'apostrofo del castello ha nelle braccia le penne di un color smeraldo e il suono interiore d'una molecola intonata d'eleganza. Il tizio magro nei suoi anni indossa la camicia bianca nell'ovale del volto i baffi, il gilet scuro, il cappotto abbottonato, la bombetta in capo, distratto volge lo sguardo alla sua destra / sinistra di nuovo destra; con agilità compostezza supera la coppia di aritocratici dinnanzi a lui che lentamente scendono al centro della scalea, alza lo sguardo controlla l'ora all'orologio del campanile supera il generale a cavallo al centro della piazza il quale indica la direzione al passato al presente al futuro di cui siamo ignari, tra banchi e tende del mercato scompare. Nel suo passare l'aria dell'ottocento. Dal terrazzo della sinagoga la vista su tutta la piazza. L'uomo dai tetti del portico del grano scatta una fotografia con il banco ottico sul treppiede la tendina scura in cui c'ifila la testa prima del click è nera. Scatta la foto ad Anne Sexton elegante sensuale con le gambe incrociate con Spike Lee negro pieno di ciondoli e un ebreo con la stella tatuata sul braccio, seduti davanti il bar teatro discutono d'inquadrature / poesia confessionale / di rune. Con lo zodiaco dalla sera alla mattina l'estate di Mounsieur Hulot in bicicletta cappello di paglia piccolo per la testa la margherita in bocca si prodiga di sguardi mentre illumina la città sonnecchiosa e pedala per corso Roma. Un banchetto di fronte al comune vende i quadri di un giovane Hitler: nessuno sa che è un affare. Il folle dai calzoni gialli la camicia rossa, si avvicina alla virago vestita in nero, la quale si sente preda lusingata. Cammina sotto i lampioni spenti e pensa: nessun giorno per gli uomini è passato invano al senso tragico dell'esistere. Di luce futurista il brillio che intravedo nel tunnel della pace. Incrocio un ragazzo dall'eccesiva ingiustizia nei tempi che verranno amplia al confine dello scibile lo sgorgare dell'uomo percolato, di cui la storia parla in retta traspare docile. Rivedo un amico di vecchia data ci vediamo ad occhi di distanza sul parlare di un passato remoto. Ordino qualcosa da bere prima di mangiare ci sediamo a tavolino sotto il portico dove tutti passano e vedono. Discutiamo della capacità teconologica di fermare il tempo biologico di ognuno attraverso un'app. dell'orologio della Swach. E ci mettiamo a ridere a crepapelle sulla prima pelle dell'edonismo Reganiano ridicolo come un filosofo clown. Dell'entrata a piedi pari della vecchiezza di ogni maitre a pènser nella nostra mostruosa società divenuti piuttosto maitre a mangèr a bighellonare tra un salotto e l'altro prima di ogni risibile pardon, pietosa, angosciante, bestiale, orribile, strage. Ci mettiamo a ridere a crepapelle. Il mio amico con la barba bianca da uomo di mezza età mi fa sapere che secondo il volgo chi guadagna al di sopra dei 50.000 euro vive pluri-verità presunte, chi vive con meno di quella cifra vive d'una verità assoluta, un'onda d'urto che travolge chiunque. La culla della civiltà lo sa.

      


   

  

cinquecentosette


- Rodi Garganico -

Mi perdo nella notte, tornanti bui, migliaia di ulivi ritorti, le indicazioni stradali mi fanno raggiungere il mare sulle rocce il fragore minaccioso: mi fermo a pochi metri. I limoni gialli nelle cassette nere in vendita sulla strada. Passo il passaggio a livello, la salita, i rapporti della bicicletta slittano sulla corona, utilizzo quello che viene; supero il trattorino che traina il carretto di piastrelle; il tizio che lo guida è di carnagione scura, barba nera, occhiali da sole. Fatico, sudo, mi fermo, tolgo il cappello da sole, mi alleggerisco, allento la cintura, sento la canottiera bagnata. Il tizio sulla montain bike mi parla con la acca aspirata, pedala i dislivelli in zona; la lunga salita che percorriamo ci fa stare zitti. In paese, i preparativi per la festa del patrono, al bancomat mi metto in fila; la spesa: due sporte di frutta pochi euro. La discesa, rientro in camping, Rachele la stella tatuata sul braccio lavora alla reception, saluta, le dico che bisogna faticare per fare la salita e raggiungere il paese.  
  


cinquecentosei


 - La partita -

La tizia chiacchiera col tizio, guardano il video sull'I.Phone. Corpo da pallavolista ricorda Marlene Dietrich, il viso sofferente come un'attrice Francese.  L'ho notata altre volte. Siede, parla al telefono, aspetta qualcuno, col bicchiere in mano. Il tizio robusto con cui chiacchiera attende il momento propizio. Se ne vanno dopo un po', lei nell'avviarsi ha un incedere sensuale. Il cinese col pitt bull al guinzaglio la incrocia. Lei osserva, gli fa una smorfia. Con questo via vai che passa non riesco a vedere la partita. Con lo sgabello sul marciapiede, la guardo per televisione attraverso la porta del bar. A pochi metri, lo stadio in cui si gioca. Due autoblindo Iveco dei carabinieri sono parcheggiati; griglie in ferro su vetri e fari. Un carabiniere in assetto anti-sommossa, manganello nella cintura si avvicina per vedere l'azione della partita. Ritorna nel gruppo di commilitoni tra le transenne. La barista piccola dalle gambe ben tornite dal viso acuto, rassetta ovunque fa pulizia si allontana. Il tizio con la t-shirt nera il cappello da baseball in testa con l'elefante stampato in bianco con qualcosa di esotico / hippy la segue col bicchiere di birra in mano, le dice qualcosa serio, il frammento forse di un discorso amoroso di minuti precedenti; il tizio in questione pare più uno che ci provi piuttosto che uno spasiamante con le credenziali, lei gli risponde tranquilla laconica senza smettere di pulire: la sigaretta tra le labbra. Il tizio spazientito si guarda attorno, con passi laterali riacciuffa qualche parola nella mente, qualche idea,  riparte dopo qualche minuto, apre la portavetro del bar la segue sino al bancone. Marlene Dietrich aiuta il tizio, spinge la moto per la retromarcia, si mette il caso, sale in moto. Guardo la partita. L'ubriaco putrido straorza arriva a spron battuto. Bordeggia, infila la porta del bar: non perfettamente, dà una bottarella al vetro. Si riprende, spinge la porta, troppo. Strambata col rischio di tuffarsi, si sostiene con un colpo d'anca, si ripiglia, scala la marcia in seconda, dà gas alle gambe, si riposiziona in verticale con nonchalance riparte deciso. Non riusciamo a vedere dove si parcheggia: una sedia, se si regge a banco, se finisce a terra. Il tipo che mi è di fianco bofonchia, ride.          

lunedì 10 luglio 2017

cinquecentocinque


- Il litorale - Termoli / Vasto

I due Vigili Urbani chiacchierano sulla passeggiata del litorale, la canicola sontuosa, la città arroccata tra le mura in cui regna il color pastello, lo scuro mare mosso dall'ignoto, la brezza robusta solleva la sabbia i teli, rovescia gli ombrelloni, muta le forme. La ragazza sulla sedia al sole legge il libro dalla copertina blu, sulla battigia chi si scioglie i capelli riprende a camminare, preso la tintarella il barbone se ne va, il padre passeggia con la figlia raccoglie i pensieri le parole sorride ribatte, i ragazzini tra le rocce esplorano i meandri dell'acqua che fluttua e sbatte. Il canada air sorvola la spiaggia, plana sul pelo dell'acqua, si rifornisce torna sull'incendio, la rovescia; sorvola di nuovo il mare plana sul pelo dell'acqua. Il pinnacolo di fumo si alza vicino al porto da cui ti imbarchi anche per le isole, il via vai della Forestale, della Polizia, dei Vigili Urbani, interrompono l'accesso alle strade l'incendio lambisce la tangenziale. Il fuoco non può nuocere, non ci sono capannelli di persone, qualcuno a mani dietro la schiena osserva i lavori di spegnimento. Per il resto la solita normale tediosa indifferenza dell'animale che vive la fatalità che non impressiona.    

cinquecentoquattro


- Sui generis -

Il pazzo, capospalla nero, jeans neri, capelli bianchi scarmigliati sino alle spalle, l'andatura rapida, mastica nell'ira la voce roca, pare filtrata da un vocoder incorporato; tritura parole prive di filo logico, si blocca istantaneamente, si volta inveisce contro qualcuno, poi capisco, vedo i ragazzini. Lo hanno individuato eccentrico che cerca rogne nelle performances degli angoli più svariati della città, recita a perfezione monologhi surreali. I ragazzini non si fanno pregare lo seguono con dileggio negli occhi, presi da un minimo di stupore sia per l'anormalità del personaggio che pare uscito dalla trama di un film, sia per le rapide controffensive da pazzo innocuo che mostra avere nei loro confronti. Capra che mostra le corna in segno di difesa, capra rimane capra, fosse leone ci sarebbe da prendere delle contromisure serie. Pare ad un certo punto sia attore che recita una parte poi ne viene travolto. Come un mago dal cilindro della mano, getta a palombella tre pietre per la strada. I ragazzi sino ad allora vicini seppur a distanza di sicurezza, al lancio di pietre rapidamente si allontanano. Tra vetture, aiuole, edifici, gente che passa, il pazzo scompare, di sè lascia tre pietre scaramantiche sul selciato.   

cinquecentotre


- Hoc est caritas - ( questo è amore )

E' una di quelle frazioncine delle nostre parti nel mezzo della campagna: una strada la percorre come nel far west, l'agglomerato di case, la chiesa all'inizio o alla fine della strada a secondo da dove vieni. Un uomo in una villetta ad un piano con le mura del giardino basse tinte di bianco che ricorda isole lontane, viveva quotidianamente una sfida politica con la gente della frazione, di simpatie comuniste. A suon di striscioni che ideava, come gli ultras mettono lo striscione alla rotonda in tangenziale, li svolgeva da albero all'altro davanti casa, interloquiva / sproloquiava contro un eventuale interlocutore / interlocutori che non ho mai visto, ma ho sempre immaginato. Ho sperato di vedere qualcuno che reagisse ai quei motti degli striscioni, glieli strappassero: mai niente. Vedevo solo ciò che scriveva: frasi sarcastiche, sciabolate ideologiche, ce l'aveva con i rossi del creato. Egli era orgogliosamente di Forza Italia. Una volta lessi una frase dedicata a San Silvio. Era il periodo della presunta persecuzione dei giudici al primo ministro della Repubblica Italiana, Silvio Berlusconi. Questa querelle tra attori anonimi mi divertiva; allietava le mie mattine lavorative istruttivo come programma su Rai Storia: Karl Marx / Groucho Marx. Frasi puntute, sarcastiche, laconiche, ironiche, accattivanti, intelligenti, blasfeme, seguivo l'umore della querelle di questo fantomatico Forzista vs comunisti, lo stato di frustrazione in cui si trovava; avevo compreso che fosse a quel tempo, in quel luogo, disperso dall'uomo e da Dio: una mosca bianca armata sino a denti. Un apostolo della libertà tra tanti frustrati mono-neuronali. Passavo da quelle parti per fare colazione, leggevo divertito sugli striscioni la frase ideata contro i nemici ideologici. Poi guidavo chilometri di risate: era diventato un rituale. La ragazza incinta conversa a mano lieve sul pancione, lo accarezza, esprime meraviglia per qualcosa che non ha assolutamente intenzione di fare. Il tizio col cappello da contadino color cachi mostra la scritta inequivocabile, Boia chi Molla; nel frattempo con la lingua tocca la suscettibilità della donna che gli serve il caffè al tavolo la quale divertita in una sonora risata se ne và. Mi alzo dal tavolino, metto in ordine i ricordi del luogo, penso al Forzista, alle sue trovate, alle querelle con i comunisti, finisco il caffè, esco. All'uscita del bar le donne anziane sotto il portico giocano a pinnacolo parlano in dialetto. Il trattore parcheggiato è un Landini Legend 160 a motore acceso. La bandiera del piddì davanti alla sede non sventola, è avvolta all'asta, il tessuto nuovo ha un chè di non attuale. Il sole è inesorabile, un lenzuolo di luce che bagna il mattino, sicuramente tutta la giornata. Inforco gli occhiali, l'universo è tollerabile. Riavvio il motore; ciò che mi ronza in testa è l'essere Italico: il pensiero, il volere: zavorra inestirpabile, l'anima, il cuore, in me tutto si traduce in due frasi di natura opposta. Benito Mussolini il cuscino con cui la maggioranza degli Italiani ha dormito sonni tranquilli: l'esternazione è mia, non è autorevole, lo so, l'altra lo è di più, ed è: l'ho scritto, ho messo l'animo in pace, voi fate quello che volete. Karl Marx.   

cinquecentodue

- B.W -

Riposiamo, prendo appunti, mi muovo, ascolto. Dal tempo variabile fiondano raggi luminosi, enormi le gocce pestano il suolo; si presenta l'ombra universale, il sole parziale è un occhio beffardo tra le nubi; la nuvolaglia eterodossa simula catene montuose. Athena di Lemnia dorme profondamente, la capigliatura sparpagliata sul cuscino, il respiro non ostile sotto il ticchettio d'un nuovo rovescio. Più intrepido del consueto, l'afrore di terra squillante solleva cinguettii intrecciati al verde; il rumore sepolcrale degli zoccoli nel fulmine che scompare è un flash in bianco / nero.   

cinquecentouno


- Offida - ( borgo )

Campi di girasoli indispettiti che non guardano il sole, il semaforo sulla salita: freno a mano a sinistra prima marcia inserita a destra. Nella piazzetta stipata di vetture la fontana di bronzo in pompa magna. Due leoni, due aquile, una Dea delle acque, il putto sul capo, l'acqua che sgorga. Dal quarto piano dell'edificio, l'orientale a chiazze di vitilligine sul volto turbato, cui do nome Ruiky, indietreggia dopo aver chiuso le imposte. I due fotografi loquaci, lui sessantenne chic, lei intellettuale col cappello da donna Newyorkese, mi chiedono se l'acqua è potabile. Rispondo che ho bevuto da un po': mi sento ancora bene. Si sentono felloni, ridono. Col treppiede inquadrano la piazzetta, la fontana, cambiano idea, ci salutiamo. Poco distante il portico con sei colonne rivestite con listelli di parquet, la piazza triangolare obliqua alcune persone sedute su panchine governano i capelli scarmigliati dal venticello. L'orgia di bellezza architettonica scavalca l'abitudine al brutto che ho dentro, mi si assottiglia, spazia nella mente, mi raccoglie inerme, esausto corpo nelle braccia della Musa bellezza, mi riconsegna al principio, resuscito a ciò che è degno nell'uomo. La brezza d'inizio sera disegna mio figlio al telefono con sua madre. Guardo la targa sul muro: piazza del popolo. Al termine del portico sul tavolo in noce, una tovaglia bianca, piatti, posate, bicchieri. Dentro il locale, quella porta scura aperta nell'angolo è la cantina. Al Teatro Serpente Aureo posto davanti al portone segue il cartello - chiuso -. M'incammino per via Vannicola Defendente il tipo col pipullo in testa che incrociamo parla per conto suo, sembra prendersela con un interlocutore immaginario; indossa una t-shirt che ricorda la prima pagina d'una fanzine new weave anni 80, cammina gesticola, non fa caso a noi, scompare dietro l'angolo.