martedì 11 luglio 2017

cinquecentododici


- Gaeta -

 Sull'hotel campeggia l'insegna Gajeta, nella piazzetta assolata il fazzoletto d'ombra ospita il tavolo del rinfresco. Gli invitati hanno, chi la cravatta slacciata, chi la giacca sbottonata, chi l'abito cangiante color piombo appiccicato al busto, alle gambe dal vento che soffia, chi l'abito lungo che si gonfia su tacchi a spillo instabili. La chiesa del porticciolo svetta sul litorale, una più elevata la sovrasta per forma, importanza, non per autenticità. Nello svincolo presso la scogliera il frenetico esserci e scomparire nel traffico; al semaforo il tipo di colore vestito da giocatore di golf non lava i parabrezza delle vetture, chiede direttamente l'elemosina; l'evoluzione è inesorabile, avviene in tutti campi del sapere. Il lungo mare simile a centinaia di altri ha qualche angolo lezioso, qualcun'altro incantevole. Il Vigile Urbano mi consiglia di spostarmi dal parcheggio vietato: ho pagato, ci mettiamo d'accordo. Mangio, guardo il mare, una cartolina a colori vivaci sbiadita dal consueto. Mi fermo al bar, il barista mi fa un pistolotto in sottotraccia mentre mi serve il caffè, per via della sacralità del saluto; lo ascolto, mi accodo, gli dimostro tutta la mia indignazione nei confronti di quei maleducati che non salutano. Pago, me ne vado, lo saluto il doppio. Accendo il quadro, avvio il motore.         

Nessun commento:

Posta un commento